L’imbarbarimento dell’occidente (visto dalla parte italiana)

di (Ninnj Di Stefano Busà)

Grande sconcerto e inquietudine sta rivelando il rafforzamento e l’imbarbarimento dell’occidente. Il declino della nostra civiltà appare sempre più un’alba sconvolta da un’alchimia nefasta: l’immaginazione cerca la luce, ma sembra ritrovare quella artificiale, delle balere, dei night, delle luci rosse, dei lustrini e di tutti i  giochi pirotecnici della nuova civiltà del postmoderno. La lunga storia del Cristianesimo ci ha dato la chiave rivelatrice del dolore del mondo. In tempi antichi Roma aveva dovuto affrontare le immani sciagure, i lutti e le devastazioni dei barbari.

Oggi, alle soglie del Tremila, ovvero, a neppure duemila anni dall’avvento del Cristianesimo, l’era tecnologica avanzata e le trasformazioni della soocietà stanno tracciando  una nuova tappa filosofico/storica della specie, trasformando nuovamente in era barbarica  la condizione dell’intera umanità. La nostra civiltà è assediata da contraddizioni, avidità e ingiustizia. Ogni cosa sembra affrancarsi ogni giorno di più dal buon senso. La catabasi introduce una singolare riflessione intorno alla vita e alla morte, che vengono chiamate a testimoni di una dimensione superficiale, eterogenea ma non prodigiosa dell’elemento uomo sulla macchina. Il continuo logoramento del tessuto sociale si esprime in maniera esponenziale verso un non esistere, lanciare uno sguardo abbrutito verso la trasmissione di quei valori che potrebbero ancora salvarci.

Disfarsi della zavorra accumulata nei secoli è impresa assai ardua, non ne intravediamo apertura alare, né recuperi a breve scadenza: la verità viene fraintesa, relegata a ruoi marginali, perché scomoda, soprattutto viene  -anestetizzata-  la sensazione della perdita, la consapevolezza elusa produce infine l’ottundimento dell’inconscio yunghiano, andando a cozzare contro i mostri che  noi stessi generiamo.

Ne scaturisce una forma mentis che vigila solo il prodotto più alieno del pensiero nel quale lo spazio-tempo viene annullato, ridotto a brandelli o anestetizzato per una corsa a ostacoli, senza vincitori né vinti, solo  -perdenti – perché la tensione è tutta rivolta verso la ricerca inesausta di cose che mortificano l’io e lo fanno schiavo di un progresso effimero e insincero che crea irrequietezza e tormento. Il nostro vivere non è più un itinerario di fede , uno scandaglio dell’anima fra la terra e il cielo, ma un mastodontico Moloc che inghiotte ogni moto raziocinante e induce alla frammentazione e alla violenza ogni germoglio di bene.

Il deserto si para innanzi a noi; si addensa sempre più sugli orientamenti interpretativi della condizione umana, provocandone un dolore più intenso e diffuso, sempre più erosivo e allarmante che porterebbe all’esigenza di uno sguardo più attento e riflessivo sulle problematiche del mondo. Invece, tutto infibula un processo verso la sua fine, che l’intricata esistenza dell’uomo non sa cogliere nel suo tracciato storico e umano.

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