La Canzone del Vento di Monica Manunta, recensione a cura di Cristina Rotoloni

In Scozia a metà del settecento una storia misteriosa, ricca di magia e atmosfera, rivela come le cronache di un luogo né sono la sua identità. Tra le tradizioni e le ricchezze di questa terra incantata ci viene narrata la vita di una famiglia sconvolta da un segreto che non è in grado di rivelare al loro bene più prezioso: la figlia. La frustrazione ed il dolore dei genitori, insieme ai timori e le paure, emergono dalle pagine con la stessa forza con cui le persone faticano a districarsi tra le malelingue e le ottuse convinzioni di un popolo di cui sono parte attiva. Il racconto s’intreccia su ciò che è celato e non si ha il coraggio di rivelare, per poi sciogliersi senza clamore all’interno del testo affidandone la soluzione e la libera interpretazione alla “canzone del vento”. L’autrice più che esprimere i particolari dei posti illustrati riesce a trasmettere la sensazione dei luoghi in maniera palpabile, come se si stesse nello stesso ambiente a vegliare sui personaggi e non a leggere le loro gesta. Emerge che i segreti non rispondono alle domande né risolvono problemi, ma li rendono solo più grandi e difficili da superare. E’ mostrato senza riserbo che le bugie confondono gli animi e che per paura e vergogna dei propri gesti, si rischia di perdere ciò che abbiamo di più caro. Solo con un atto di coraggio e con profonda umiltà si riesce ad ammettere il proprio errore e a mostrare la verità. Interessante è la rappresentazione del losco figuro come eco alla storia. Tramite lui s’evidenzia il dissenso insito nell’uomo e che le malelingue possono più di quello che gli deve essere concesso. Tramite però la saggezza dell’età si troveranno escamotage per liberare la verità rendendola comprensibile a tutti. Da questo libro si evince che la paura è il più gran nemico dell’uomo mentre il coraggio dell’innocenza e la verità, che non conosce barriere, sono una gran forza a favore dell’essere umano.

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