Eight

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 Augusto era abituato e distaccato da ogni forma di affettività. Aveva dovuto, più di una volta, perdere delle scommesse che puntualmente continuava a fare con l’altro se stesso: ogni volta si faceva convincere e veniva regolarmente sconfitto per cui, da qualche anno, aveva deciso che non avrebbe più creduto a parole, suoni e tantomeno sguardi…era una questione di dignità, si ripeteva, non si può stare male per un amico che ti tradisce, per una donna che ti inganna, per un figlio che ti delude e, ancor meno, per un progetto che ti illude.

Solo che aveva dimenticato di includere nella lista gli animali, si proprio loro, quegli esseri che ti circolano intorno e che sembrano essere molto concentrati sul loro ciclo di esistenza; diciamo che li vedeva molto simili a lui, a quello che era diventato, anzi per essere precisi, forse era lui che era ritornato a essere quello che era fin dal principio: un animale, ma non una bestia.

Queste sue deduzioni, ovviamente, si era ben guardato dal comunicarle ad altri; non avrebbero capito…così pensava e così era convinto.

Le giornate della sua vita scorrevano senza scosse da quando aveva preso questa decisione: nessun legame uguale nessuna pena.

C’era sempre una montagna che lo salutava la mattina appena si svegliava, e qualche volta anche una bella luce calda, e poi il vociare di quella cittadina toscana che lo aveva adottato, o forse si era fatta adottare, molti anni prima, da quel fuggiasco che era lui, quando dopo l’ennesima scommessa persa, aveva onorato il debito verso l’altro se stesso, abbandonando la sua convulsa metropoli. Non poteva chiedere di più e non aveva nessun intenzione di farlo.

Il suo stare un po’ isolato era stato accettato e compreso subito da coloro che lo avevano visto arrivare un giorno di fine agosto, in compagnia di pochi scatoloni. Qualche curiosità dei suoi vicini era stata subito interrotta da quel suo parlare brusco e senza troppi aggettivi “Quando si cambia città c’è sempre un motivo importante, e se si vuole ricominciare lo si deve fare davvero, portandosi dietro pochi strascichi di ciò che si lascia” e loro, i suoi nuovi compaesani, avevano capito subito e non avevano più domandato, perché a volte ci sono domande che debbono rimanere da sole, senza una risposta con cui unirsi e confondersi.

E poi Augusto era un bravo veterinario, anzi come diceva sempre lui, un medico veterinario, e se uno sa fare bene il suo lavoro non si deve pretendere di più.

Dicevano che ci metteva l’anima, ma Augusto non si illudeva; era convinto che al primo scivolone gli stessi che dicevano di lui cose tanto luminose, gli avrebbero voltato le spalle, e poi quale anima! Non c’era nessun’anima dentro di lui…dentro nessuno.

Ma anche il tempo invecchia, e per Augusto il suo “tempo” invecchiava con dignità, ma inesorabilmente. La sua casa, appena fuori città, era riconoscibile anche da lontano, per via di quel pesco nato da un frutto che aveva con sé, in quel lontano giungere da altri passati; era diventato un suo compagno fidato e l’albero di molti animali di passaggio, soprattutto di un gatto rosso che Augusto aveva salvato da uno scontro con un motorino.

Quel giorno lo ricordava ancora: due ragazzini che avevano scoperto la bellezza della loro età e della vita che li avvolgeva, e per questo, distrattamente, avevano investito un gatto con delle striature rosse, troppo piccolo per essere pronto a scattare oltre quel rumore di marmitta modificata. Erano sconvolti quando entrarono nel suo ambulatorio e lo tenevano avvolto in un maglione, probabilmente il loro.

Dottore, non vole’amo, ci creda…lo salvi…i soldi li troviamo in qualche modo…”

Il gatto dalle striature rosse si salvò e Augusto non fece pagare i due ragazzi a patto che si occupassero di lui. Ma Eight, questo fu il nome del micio in onore alle sue proverbiali nove vite di cui una era stata già utilizzata, ogni volta scappava dal giardino dei ragazzi per raggiungere l’albero di pesco del dottor Augusto, e alla fine vinse lui, il gatto dalle striature rosse.

Eight faceva parte del suo mondo come quell’albero, come i suoi occhiali da vista che penzolavano sul suo petto, come la sua raccolta di Tex che aveva deciso di portarsi dietro come unica prova che aveva vissuto tanti anni prima, e anche la corteccia dell’albero era a conoscenza dell’esistenza di Eight, avendo tutt’intorno i segni delle unghie di quell’essere.

A volte loro due, gatto-rosso e uomo-anziano, si parlavano con brevi monosillabi che cambiavano solo in tonalità, ma che per entrambi erano chiarissimi.

Poi venne quell’inverno con tanta neve; Augusto ebbe una brutta polmonite e ci volle un bell’insistere da parte di chi lo frequentava: non ci fu nulla da fare! Non aveva nessuna intenzione di farsi ricoverare in un ospedale: disse a tutti che si sarebbe curato a casa sua.

La sua testardaggine gli fece superare quel momento, e sopportava malvolentieri le “intrusioni” dei suoi amici ma, come se ne andavano, si sfogava con Eight “Ma perché non mi lasciano in pace, dico io! Si vogliono guadagnare il paradiso sulla mia pelle, sempre che esista…io e te lo sappiamo bene che dopo di noi non ci sarà più nulla; non siamo come il pesco…noi non abbiamo niente da piantare in terra e da affidare all’acqua e al sole per farlo crescere”

Il gatto rosso lo guardava attento quando parlava, poi si distendeva sul tappettino di lato al letto e si addormentava, convinto di aver fatto il suo dovere ascoltandolo.

Quando finalmente il medico confermò la guarigione di Augusto, anche il tempo aveva deciso di stare meglio, e sull’albero si intravedevano dei nuovi segni di vita…ma per Eight il  suo “tempo” aveva deciso altrimenti.

Cominciò a mangiare sempre meno, a non ascoltarlo più attentamente quando Augusto gli si rivolgeva.

Augusto fece di tutto, cercando di metterci quell’anima in cui non credeva, ma che sperava esistesse, ma per Eigth non ci fu nulla da fare e quando si rese conto che farlo vivere ancora voleva dire solo dargli altra sofferenza, decise di non era giusto, e lo addormentò…per sempre.

Lo seppellì sotto l’albero di pesco avvolto nel suo tappetino e pianse, tanto, come non faceva da anni. Poi volse gli occhi verso un cielo troppo azzurro per quel mese di maggio e sorrise scorgendo una nuvola che somigliava tanto al suo amico acciambellato sul  tappettino “Se ci fossero anche delle striature rosse, ci sarebbe da credere che sei già arrivato…a presto amico mio”

 

Dedicato a Calziver…per me solo GattoRosso :'((

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