Assetata mi dileguo
tra le velate ciglia
dell’occhio divino
alla disperata ricerca
d’un sapere immateriale
che disseti le labbra
arse dalla febbre del dolore
che ineluttabilmente
si impadronisce dell’umana specie.
E sogno la pace dell’oblio
e del tempo, che trascorso,
rimargina la bruciante ferita,
e assopisce l’inquietudine
derivata dall’inconoscibile.