Una sera

Una sera, mentre il suo spirito era perso nella magnificenza delle stelle, vide una scia luminosa muoversi verso di lui. Ebbe uno scatto breve e violento. Serrò gli occhi, facendosi catturare dal silenzio di quella notte fredda ed avvolgente, rischiarata dai soli riflessi aurei di una luna pura come avorio levigato. Si avvicinò ancora un po’, rimanendo sospesa in aria. Prese forma pian piano, mutò il suo colore e lentamente andò a posarsi non distante da lui, senza far rumore, come se un soffice giaciglio ne avesse accolto ogni energia. Il chiarore svanì. Lui la guardò incuriosito, senza sapere cosa fare. Era celata in un angolo buio del terrazzo, dove nemmeno lo sguardo della luna riusciva a svelarne le forme.

“Chi sei?” chiese a bassa voce

“Una sulava” rispose con voce aggraziata.

“E cosa sei?”

Rimase in silenzio. Mosse leggermente la testa, come non avesse colto il senso della domanda.

“Sei per caso uno spirito?” insistette

“Solo una sulava” sentì ripetersi con la stessa intonazione.

Si mosse verso di lei ed istintivamente allungò una mano, come per porgerle qualcosa.

“Vieni avanti, non avere paura”.

Sembrava ancora intimorita, ma dopo qualche istante accettò l’invito ed allungò il braccio, facendolo pian piano uscire dall’oscurità. I riflessi argentei della luna lo sfiorarono con timidezza; era esile e bianco ed era coperto da una delicata stoffa setosa.

Si sfiorarono.

Al contatto avvertirono un piccolo brivido caldo risalire lungo la schiena. Le dita si intrecciarono toccandosi appena, come i corpi di due innamorati che danzano tenendosi avvolti l’un l’altro in un docile abbraccio di passione amorosa. Le sue dita erano fredde, morbide, ed emanavano un’essenza sconosciuta, avvolgente e misteriosa come effluvi esotici. La notte silenziosa e femminea calava sensuale su di loro, proteggendone i sospiri e ricoprendo i loro occhi di ombre velate. Gli sguardi si accesero in un moto di curiosa voluttà.

“Una sulava…” sospirò lui mentre una luce aurea illuminava il suo viso ambrato. “Vieni con me” aggiunse lei di rimando, scrutandolo con occhi felini. Un lieve riverbero di luce lunare scintillava nell’angolo superiore del suo iride di zaffiro, mentre le labbra rosse e sanguigne scoprivano appena un sorriso candido come neve. Indossava un abito solo accennato, azzurro come un cielo settembrino ed etereo come fosse visibile al suo solo vibrare sospinto da quieti sospiri di brezza.

“Dove vuoi portarmi?” chiese ritraendo appena la mano.

La voce aveva perso la delicata armoniosità di un attimo prima e si era fatta più insicura.

Non ebbe risposta.

La sulava volò via, portando con sé l’incanto dei suoi occhi, il mistero del suo profumo inebriante, le sfumature e le forme sensuali che la notte aveva tramutato in misteriosi canti di sirena.

Passarono giorni interi, notti malinconiche e feroci di attesa, palpitanti come pulsazioni di un cuore in tempesta. Scrutava speranzoso ogni angolo del cielo, spiandone i minimi movimenti, i giochi di luce che potessero rivelargli la sua presenza, facendo scivolare la sua ansia d’amore su costoni ripidi di scogliera marina. Di tanto in tanto volgeva lo sguardo verso il palmo della mano, il lembo di pelle che aveva sfiorato quel fascio di luce lattea, ricercando con i pensieri la flagranza vellutata del suo corpo liscio come una goccia di madreperla, fresco come acqua sorgiva di montagna.

“Dove sei?” andava ripetendo tra sé, mentre con gli occhi ombrati di tristezza chiudeva la finestra, smarrendosi nel buio laconico della stanza. Ma le parole si perdevano come foglie ingiallite e malinconiche, che volano via al primo vento di fine estate, lasciando solo il vuoto di un silenzio marmoreo, freddo ed egoista di fronte a quella docile pulsione d’amore.

Passarono le stagioni; e le notti insonni, trascorse a pregare lo spirito della luna affinché gli concedesse la gioia di rivederla, lo avevano fatto recedere in un mondo crepuscolare. Gli occhi avevano preso a rifiutare la luce calda del giorno e si distendevano al giungere del tramonto, quando l’esile sole morente donava gli ultimi riflessi rosei, vellutati come petali accarezzati dalla rugiada. Amava ripetere che presto la sulava sarebbe tornata per portarlo nel suo mondo fatato.

Attese.

Nel cuore di una notte fu svegliato di soprassalto. Subito corse fuori e volse lo sguardo nell’angolo buio del terrazzo. Riconobbe il silenzio di quella lontana sera fredda e stellata. Si strinse le braccia lungo i fianchi, mentre il cuore pulsava sangue in ogni angolo dimenticato del suo corpo. Rivide la piccola scia luminosa che andava dissolvendosi silenziosamente e fu colto da un’emozione violenta. Retrocesse leggermente. Nuovamente. Gli occhi si inumidirono di lacrime calde e salate.

“Ti ho atteso tutti questi anni” furono le uniche parole che riuscì a pronunciare.

“Vuoi venire?” rispose lei, allungando una mano.

Le dita tornarono a sfiorarsi e per entrambi fu rivivere lo stesso brivido che li avevi colti un tempo. Capirono che l’emozione legata al ricordo non si era dissolta ma era vissuta dormiente, in attesa che il nuovo incontro la risvegliasse dal sonno quieto che l’aveva avvolta molti anni prima. Ibernata in uno strato di ghiaccio cristallino avvertiva la forza dell’amore provocargli uno stordimento dell’anima, ed uno scuotersi dei sensi che avevano preso a librare tra le nuvole.

“Portami via” pensò.

Insieme viaggiarono tra le stelle ed il blu ardesia del cielo. Creature di luce sfavillavano qua e là rincorrendosi e fondendosi tra di loro al contatto. Fiumi dai percorsi più vari, sospesi ed ondulanti, portavano nel loro letto dorato liquidi profumati. Li attraversarono mano nella mano e fu come se una carezza senza origine li accogliesse nel proprio ventre di magia. Non c’era silenzio, ma musiche e melodie di sottofondo che scandivano il tempo e ne accompagnavano il fluire lento e irregolare. Ovunque si voltasse era un turbinio di colori e di forme, di spazi infiniti dove non trovava posto alcuna ombra, alcuna malinconia. Sorrideva felice e le lacrime che gli occhi lasciavano scorrere si tramutavano in soffici gocce di argento, che al passaggio rimanevano sospese in un mondo senza gravità. Le distanze erano annullate e sentiva sulla pelle il tepore gradevole di un momento atteso da sempre. Infine si fermarono lungo la riva di un ruscello che attraversava una magnifica valle verde tagliata tra due colline. Era uno spazio sorretto dal nulla, fatto solo di magia e pensieri. Rimase incantato dallo spettacolo che aveva innanzi agli occhi. Sul pelo dell’acqua trasparente saltellavano, felici, piccole ninfe sorridenti. Alcune di esse si voltavano a fissarlo, incuriosite dalla presenza di un ospite inatteso, poi tornavano a giocare, sfuggendosi e sparendo d’improvviso. Spiriti bizzarri canticchiavano e conversavano in lingue incomprensibili, vestiti di tutto punto con abiti dai tagli più stravaganti.

“Perché mi hai portato qui?” le chiese senza timidezza, facendo apparire sul viso rosato i segni di un sorriso.

“Lo chiedi a me?”

“Non è il tuo mondo?” chiese ancora senza distogliere lo sguardo dal suo, lasciando che il braccio si distendesse ad accogliere tutto quanto lo circondava.

“Non ne possiedo” rispose lei “vivo come spirito della notte e del tempo. Mi hai chiamata e sono giunta, come messaggera dei tuoi desideri. Ti ho preso per mano e condotto dove le emozioni prendono forma, i pensieri si tramutano in acqua e vento, e le sensazioni vibrano come note di melodie che svelano gli stati d’animo più profondi. Ciò che vedi è sintesi di ciò che hai dentro, il ricordo di un amore lontano, di un viso mai dimenticato cui avevi donato tutto questo, e che ha infine risvegliato quello che per anni avevi tentato di cancellare dal tuo cuore ”.

Ci fu un breve silenzio, dolce e soave, carico di emozioni danzanti. Lui capì d’improvviso; i lineamenti si distesero, il respiro si fece armonioso come poesia.

“Ed ora che sono qui, rimarrai con me?”

Lei non rispose, ma rimase a fissarlo con occhi di una donna innamorata. Si avvicinò solo un po’ e gli diede una carezza sul viso. E al contatto fu come se l’intero l’universo gli fosse entrato dentro, come se dal palmo della sua mano fosse scaturita un’energia bianca in grado di far girare, per un istante, tutti i pianeti intorno a loro.

“E’ ora di andare”.

Si alzò e lo attese immobile sul bordo del ruscello. Trascorsero il resto della notte silenziosi. I loro corpi continuavano a sfiorarsi e trasmettersi mille e mille pensieri. Chiusero gli occhi e si videro correre insieme lungo sterminate distese che non avevano all’orizzonte alcuna fine. Furono colti dai primi raggi del sole che iniziava a nascere. Lui si voltò verso di lei e si accorse che dal viso era sparito il sorriso, ma non disse nulla.

Proseguirono.

Sul punto di giungere, infine, la sulava iniziò a dissolversi, farsi sempre più eterea di fronte alla luce calda del giorno, che andava adagiandosi sconfiggendo l’oscurità della notte morente. L’ultimo istante in cui avvertì il calore della sua presenza fu quello prima di mettere piede sul terrazzo. Riaprì infine gli occhi e vide il mondo che aveva lasciato la sera prima. Ma sentiva di non farne più parte. Ora il suo angolo di felicità risiedeva lassù, insieme allo spirito di donna che gli aveva risvegliato il ricordo di uno sguardo rubato in un momento di tanti anni prima, e che avrebbe atteso, palpitante, fino al suo prossimo ritorno.

Lucio Schina

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