Un giorno come un altro

 

 

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Quanta memoria dei ricordi  sopravvive dopo una malattia? O meglio, quanto si vuole dimenticare dopo che ci si ritrova guariti, sani, senza più addosso quell’odore di “non salute”?

Strano  avere questo pensiero, o forse sarebbe da chiedersi perché solo ora “ho” questo pensiero…forse dipendeva dal fatto che l’estate stava lentamente diventando adulta e consapevole di non poter più fare “bambinate”.

Già, le “bambinate” come le chiamava sua madre; e lo diceva sempre con un piccolo moto di fastidio, come se anche quelle facessero parte del pacco regalo che ogni bambino si porta dietro, come le nottate in bianco per una febbre, come la varicella, come la prima bugia…bambinate che per fortuna sarebbero scomparse con l’età, sostituite da cose più importanti, ma per fortuna molto più gestibili, come il primo amore, la prima sigaretta, la prima volta…

Filomena pensava questo e sorrideva mentre passeggiava con calma al limite fra la sabbia e il mare, facendo affondare il piede nudo in minutissimi sassolini splendenti di acqua e di sole, e ogni volta che il piede veniva posseduto dal terreno morbido, lei tratteneva dentro di sé quella piacevole sensazione di essere prigioniera di un qualcosa che aveva desiderato e che ora accadeva.

Ancora un passo nella sabbia umida, con lo sguardo verso il sole che si faceva sempre più discreto e sembrava scomparire dietro gli scogli; un cane sembrò venirle incontro, ma una voce secca lo fece fermare e voltare, e dandole un ultimo sguardo si affrettò verso la voce.

Filomena, o meglio Filly come l’avevano chiamata fin da bambina, fu tentata di ritornare anche lei indietro, verso la scaletta che l’avrebbe riportata nell’albergo proprio di fronte a quel mare, ma aveva una strana sensazione, come di un qualcosa che sarebbe andato perduto per sempre e che attendeva solo che lei lo trovasse, ma fino a dove arrivava il suo sguardo non c’era altro che una lunga striscia di terra lucida e bagnata appena da onde stanche e delicate.

Mise una mano davanti agli occhi per impedire al riverbero del sole di confonderle le immagini, e fu in quel momento che intravide una figura strana con un cappello, o forse un piccolo ombrello candido seduta su un piccolo sgabello che, nascosto da un lembo della sua veste, dava l’impressione che la figura stesse a mezz’aria.

Filly si avvicinò continuando a tenere la mano a mo’ di visiera; non fosse stato per il leggero vento che agitava quelle vesti e per il loro colore di una candido accecante, poteva apparire come una strana formazione calcarea.

Quando le fu sufficientemente vicino da distinguerne il profilo, ma non abbastanza da non disturbarla con la sua ombra, si sedette con studiata indifferenza sulla spiaggia puntellando le braccia dietro di lei, fingendo di godersi l’ultimo raggio di sole.

In queste occasioni la cosa migliore sarebbe stata accendersi uno dei suoi sigarelli, ma da quando era riuscita a sfuggire dalle mani della nera signora per una, forse, sua distrazione, aveva deciso di non darle un’altra possibilità e con un taglio netto aveva eliminato fumo, alcool, caffè e, cosa più importante, finti amici, amanti fasulli e doveri inutili.

La paura c’era ancora tutta, nonostante fosse trascorso un anno, ma adesso ogni tanto si concedeva un decaffeinato, un bicchiere di birra e qualcuno con cui sorridere e parlare, magari facendosi anche corteggiare, ma soprattutto ora sceglieva le sue giornate secondo il suo umore e dopo tanti anni si stava godendo una vera vacanza, con pasti regolari in un albergo senza troppe pretese vicino a una spiaggia non troppo affollata dove distendersi con gli occhi semichiusi con il rumore di bambini che si rincorrevano spargendo sabbia e mare tutto intorno a loro.

Ma adesso quella signora vestita come nel film Morte a Venezia le aveva risvegliato la curiosità; ogni tanto la guardava, ma sempre fingendo di osservare altro, anche se era evidente che non c’era nulla da guardare oltre lei,la figura rimaneva immobile con l’ombrellino poggiato sulla spalla e quel leggero muoversi di una ciocca di capelli che sembrava danzare intorno al suo profilo, e non un muscolo, non un battito di ciglia.

Per un attimo pensò che fosse morta e questo pensiero le fece nascere un improvviso colpo di tosse; a quel rumore stonato in tanta armonia, la donna dell’ombrellino si voltò verso di lei con uno sguardo interrogativo.

A Filly le sembrò di rivedere lo sguardo di sua madre, quello sguardo che lei non era mai riuscito a sostenere: era un chiedere senza parlare che otteneva sempre il suo scopo, esattamente come con la signora con l’ombrellino.

Le si avvicinò scuotendosi con la mano i sassolini sulle sue gambe e sorridendole le porse la mano.

Buona sera, sono Filly…non volevo infastidirla, ma sembrava un’apparizione e mi sono incuriosita…non l’ho mai vista in spiaggia…”

 La donna chiuse l’ombrellino continuando a fissarla, poi fece scendere lo sguardo alla mano protesa verso di lei e finalmente le sorrise.

Buona sera a te Filomena” e si alzò puntando l’ombrellino di lato a sé

Mi conosce? Io non la conosco, o almeno non ricordo”

“Non puoi ricordarmi…è trascorso tanto tempo, quasi un anno…”

Senza alcun motivo apparente, un piccolo brivido corse lungo la schiena di Filly come una scheggia di ghiaccio.

Io di tutto ciò che è successo un anno fa non ricordo più nulla” affermò con decisione la giovane donna, aumentando la sua sicurezza con il nascondere il suo sguardo dietro un paio di occhiali da sole.

Ricordi solo quello che è necessario ricordare, ed è per questo che ho cambiato colore degli abiti…il nero non mi donava più…ma ho solo cambiato abito e quello scuro è sempre nel mio armadio e se lo dovrò indossare di nuovo lo farò a malincuore, credimi…” e detto questo riaprì il suo ombrellino e si allontanò da lei e Filly giurò di aver sentito in lontananza il suo nome gridato per esteso da una voce che sembrava quasi  lo cantasse.

 

 …pensando alla Nera Signora…

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