L’onda lunga

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“Tutto bene signor Daniele?”
L’uomo si voltò verso la voce che aveva pronunciato il suo nome, che continuava a poggiare la voce sulle sillabe, nello sforzo maldestro di mascherare il proprio accento straniero,  e sorrise appena; avrebbe voluto dire che non andava bene proprio un bel niente, che aveva un porcospino nello stomaco che continuava a rotolarsi come in preda alle convulsioni; avrebbe voluto dirgli che voleva affacciarsi di nuovo, ancora una volta,  dal piccolo balcone con le ringhiere di ferro grigiastro, per vedere lo scorcio del campanile della chiesa di San Clemente, a due passi dal Colosseo, a due passi dal cuore della sua Roma, e dirgli che solo quella vista valeva molto, molto di più di quell’assegno che aveva piegato e riposto nel portadocumenti con una finta indifferenza; voleva dirgli che quella era la casa di sua nonna dove lui scappava ogni volta che i suoi genitori si urlavano tutto l’odio che scorreva nelle loro vene, un odio che non aveva mai fine e che si nutriva di ogni insuccesso dell’altro, e in mezzo c’era sempre lui, che non piangeva mai, perchè aveva paura che con le sue lacrime avrebbe solo peggiorato la situazione; voleva dirgli che le sue fughe lo portavano dall’unica persona che lo accarezzava guardandolo negli occhi, e non distrattamente come faceva qualche volta sua madre; voleva dirgli che quella donna bella e piena di rughe sapeva quando era necessario portarlo fino alla villa grande, quella che era vicino a una chiesa che aveva davanti una piccola barca in marmo…avrebbe voluto dire tutto questo, ma si sentì ridicolo,,,pensò che l’avrebbe preso per pazzo.
Che importava se quell’uomo dai capelli color rame gli aveva assicurato che non avrebbe fatto a pezzi nulla dell’appartamento; non era più la sua casa, non lo sarebbe stata mai più.
Tolse la sciarpa dal vecchio attaccapanni di legno dell’ingresso, strinse la mano a colui che gli aveva preso la sua casa e scese le scale senza aspettare l’ascensore.
Senza averlo deciso,  si ritrovò davanti alla piccola barca di marmo di fronte alla chiesa; si tirò su il bavero del giubbotto, e rimase a guardarla immobile… un singhiozzo senza lacrime lo scosse, e fu quello che gli fece sentire una voce, quella voce dolce che lo aveva tante volte convinto che non esiste l’odio assoluto, e che sotto ogni tempesta c’è sempre un onda dolce che accompagna ogni barca al sicuro…
Non si voltò, non ce ne era bisogno; la voce era dentro di lui, ed era molto più forte di altre voci che gridavano, che si odiavano, di cui ora ricordava a malapena il volto.
In sella alla moto, mentre si allacciava il casco guardò per un’ultima volta in direzione di quella casa, poi verso la villa grande e la barchetta di marmo, e accellerando si allontanò da quel luogo, fino a quando arrivò al mare…il mare, quello vero, senza ombrelloni e  senza quel colore turchese che sembrava dipinto,  un mare che vive di venti, di ricordi, che ha colori grigi e celesti cupi che si confondono fra di loro fino a diventare una specie di verde con striature marroni, e verso quel mare che lo chiamava, Daniele si avvicinò.
Stette in silenzio, in piedi, poi si sedette poggiando tutto se stesso contro una barca in secca…due orfani di ricordi, lui e quella barca, e che per quel pomeriggio di tardo inverno si fecero compagnia…e solo allora riuscì a ricordare anche le voci di suo padre e sua madre…e pianse…finalmente pianse …
……Nessuna tempesta può soffocare l’onda lunga della vita che si rinnova…….

“Tutto bene signor Daniele?”

L’uomo si voltò verso la voce che aveva pronunciato il suo nome, che continuava a poggiare la voce sulle sillabe, nello sforzo maldestro di mascherare il proprio accento straniero,  e sorrise appena; avrebbe voluto dire che non andava bene proprio un bel niente, che aveva un porcospino nello stomaco che continuava a rotolarsi come in preda alle convulsioni; avrebbe voluto dirgli che voleva affacciarsi di nuovo, ancora una volta,  dal piccolo balcone con le ringhiere di ferro grigiastro, per vedere lo scorcio del campanile della chiesa di San Clemente, a due passi dal Colosseo, a due passi dal cuore della sua Roma, e dirgli che solo quella vista valeva molto, molto di più di quell’assegno che aveva piegato e riposto nel portadocumenti con una finta indifferenza; voleva dirgli che quella era la casa di sua nonna dove lui scappava ogni volta che i suoi genitori si urlavano tutto l’odio che scorreva nelle loro vene, un odio che non aveva mai fine e che si nutriva di ogni insuccesso dell’altro, e in mezzo c’era sempre lui, che non piangeva mai, perchè aveva paura che con le sue lacrime avrebbe solo peggiorato la situazione; voleva dirgli che le sue fughe lo portavano dall’unica persona che lo accarezzava guardandolo negli occhi, e non distrattamente come faceva qualche volta sua madre; voleva dirgli che quella donna bella e piena di rughe sapeva quando era necessario portarlo fino alla villa grande, quella che era vicino a una chiesa che aveva davanti una piccola barca in marmo…avrebbe voluto dire tutto questo, ma si sentì ridicolo,,,pensò che l’avrebbe preso per pazzo.
Che importava se quell’uomo dai capelli color rame gli aveva assicurato che non avrebbe fatto a pezzi nulla dell’appartamento; non era più la sua casa, non lo sarebbe stata mai più.
Tolse la sciarpa dal vecchio attaccapanni di legno dell’ingresso, strinse la mano a colui che gli aveva preso la sua casa e scese le scale senza aspettare l’ascensore.
Senza averlo deciso,  si ritrovò davanti alla piccola barca di marmo di fronte alla chiesa; si tirò su il bavero del giubbotto, e rimase a guardarla immobile… un singhiozzo senza lacrime lo scosse, e fu quello che gli fece sentire una voce, quella voce dolce che lo aveva tante volte convinto che non esiste l’odio assoluto, e che sotto ogni tempesta c’è sempre un onda dolce che accompagna ogni barca al sicuro…
Non si voltò, non ce ne era bisogno; la voce era dentro di lui, ed era molto più forte di altre voci che gridavano, che si odiavano, di cui ora ricordava a malapena il volto.
In sella alla moto, mentre si allacciava il casco guardò per un’ultima volta in direzione di quella casa, poi verso la villa grande e la barchetta di marmo, e accellerando si allontanò da quel luogo, fino a quando arrivò al mare…il mare, quello vero, senza ombrelloni e  senza quel colore turchese che sembrava dipinto,  un mare che vive di venti, di ricordi, che ha colori grigi e celesti cupi che si confondono fra di loro fino a diventare una specie di verde con striature marroni, e verso quel mare che lo chiamava, Daniele si avvicinò.
Stette in silenzio, in piedi, poi si sedette poggiando tutto se stesso contro una barca in secca…due orfani di ricordi, lui e quella barca, e che per quel pomeriggio di tardo inverno si fecero compagnia…e solo allora riuscì a ricordare anche le voci di suo padre e sua madre…e pianse…finalmente pianse …
……Nessuna tempesta può soffocare l’onda lunga della vita che si rinnova…….

 

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