La pianta di pomodoro – racconto fantasy

La pianta di pomodoro - racconto fantasy -  ebook gratuito
 
 
Oscar, il personaggio principale di questo racconto si trova, senza volerlo, coinvolto in un esperienza unica. Ritrovandosi in tasca dei piccoli semi di pomodoro, esplorerà via via un mondo che fino a quel momento non aveva ancora conosciuto.

La pianta di pomodoro – racconto fantasy

Giusy Montagnani

Tutto sommato fino ad allora era stata un’esistenza senza onta ne gloria, tutto nella norma, non enormi soddisfazione ma anche senza grandi angosce.
Tuttavia, ripensando alla sua gioventù era felicemente compiaciuto di come si era svolto l’incontro con Clelia, la donna della sua vita, e di come avevano trovato interessi comuni, e gli pareva che in certi frangenti, si, veramente, aveva toccato il cielo con un dito.
Rammentava che, sfidando l’iniziale riluttanza, avevano, di comune accordo, deciso di effettuare un lancio col paracadute.
Che impresa!

Il piccolo aereo li stava aspettando col compito di portarli ad una quota che consentisse loro il lancio.
Tutto pronto, era tempo di mettere a fuoco la teoria appresa e di affidarsi all’esperienza degli istruttori.
Equipaggiamento di tutto punto, ogni cosa a suo posto.

Dai piccoli oblò la pista si era via via allontanata per far posto al vuoto attorno a loro.
Ora il rombo del motore del piccolo velivolo si era allontanato, attutito e soverchiato dall’accelerazione cardiaca che pareva premere, oltre che sulla giugulare, anche sui timpani.
Era quello che volevano, era quello che da tempo avevano programmato, pure , nonostante il fatto che non si sarebbero lanciati da soli, ma avvinghiati ai rispettivi maestri, la tensione era palpabile.

Il cielo in quella mattinata di autunno inoltrato, aveva assunto il colore delle foglie d’oro rossicce della vite, ed i polmoni parevano non poter più contenere il fiato; timore, emozione o meglio tutte e due le cose.
Una cosa però gli si era fissata in modo indelebile nella memoria; più ancora della forte esperienza, lo sguardo timoroso di Clelia, che cercava disperatamente quello rassicurante di lui.
E lui, era lì, pronto a dirle con gli occhi di non avere timore, nel cielo, nell’aria, nel vuoto, le sarebbe stato accanto.

Quando toccarono il suolo, dopo un volo interminabile, fu sconvolgente sentire il petto di lei premere sul suo nell’abbraccio, ed i loro due cuori battere all’unisono.

Non paghi di cotanta esperienza Oscar e Clelia, decisero di prendere il brevetto da subacqueo.
Ed, anche nelle lori frequenti immersioni, si erano trovati a condividere la grande passione per poter conoscere direttamente la realtà sottomarina.
Suscitò una grande emozione una notturna fatta al “Gordon reef”.
Il posto era denominato “La Cattedrale”.
Effettivamente l’enorme madrepora era solidamente posata sul fondale e si ergeva con le sue guglie a guisa di cattedrale.
Durante il breefing si erano accordati sul come, raggiunto il fondo, avrebbero dovuto spegnere le torce per poi riaccenderle poco dopo.

Così fecero e lo stupore fu grande nel constatare che senza luce il plancton fosforescente pareva un cielo stellato.
Quando riaccesero le torce, accanto a loro si erano posizionati una gran quantità di pesci scorpioni, leggiadramente avvolti nei loro veli.
Per non parlare di quella volta alle Maldive, quando riemergendo ebbero l’impressione che le stelle vivide, come solo in quel luogo possono essere, fossero un tutt’uno con l’oceano e che quel ventre caldo li stesse partorendo in quell’istante.
Ed anche in quell’occasione, la gioia si era mescolata al timore di rimanere incagliati con i “doni”, – imbarcazioni maldiviane – sui coralli, ed anche allora Clelia, aveva ritrovato gli occhi di lui a rassicurarla.

Poi tutto rientrava nella normalità.
Una casa, un lavoro sicuro, dei figli.

Fu proprio nello svolgere cadenzato della quotidianità che Oscar si ritrovò tra le mani quei piccoli semi.
– Come li aveva avuti? –
” A si! “
Era stato un amico, che da parecchio tempo non vedeva, ad averglieli dati.
Era seduto alla sua scrivania e pensava:
“Possibile?! Che davvero ci si possa fare una fortuna tanto grande?”
– Il brusio dei colleghi si era fatto insistente, era un pò di tempo che lo vedevano sempre più strano, e una voce lo fece riprendere.

– “Martini, che fai, stai sognando ad occhi aperti? “
Il richiamo del capoufficio lo fece sobbalzare sulla sedia, poi, quasi per scherzo, non credendo a quello che faceva, tornò a casa.
-Una piccola casa con lo stretto indispensabile, ma con grandi finestre che permettevano alla luce del sole d’inondarne l’interno.
Decise di andare nel giardino per effettuare una prova.

Preparò un letto caldo con del terriccio soffice.
Con la precisione di un geometra, tirò più spaghi paralleli da un capo all’altro del piccolo orto, e seguendoli, con estrema cura, pose i preziosi semini nei solchi appena fatti, quindi li ricoprì con abbonante terra e li irrigò.
Pareva strano, ma in quella notte non riusciva a prendere sonno.
” Se la temperatura fosse scesa troppo e i semi avessero patito? “
Decise allora di scendere dal letto e di posare una piccola serra a protezione del prezioso raccolto.
Per maggiori garanzie, la fece doppia, la camera d’aria che albergava tra uno strato e l’altro, impediva al rigore dell’aria di raggiungere i semi.

Il giorno appresso non vedeva l’ora che l’orologio segnasse il tempo per il ritorno a casa.
E così, giorno dopo giorno, scrutava i piccoli solchi finchè,
con suo grande stupore, vide una timida e fragile fogliolina bucare il terreno, poi un’altra e un’altra ancora, e così via.
Quotidianamente non mancava di annaffiare abbondantemente.
Nei giorni successivi le piccole piante crebbero fino ad aver necessità di un sostegno.

Si sorprendeva di come, con quanta cura ed amore, raccoglieva ogni esile stelo per legarlo alla canna.

Con un tuffo al cuore vide che alcune brutte macchie marroni erano minacciosamente comparse sulle foglie, ragion per cui dovette ricorrere ai trattamenti antiparassitari.
Successivamente notò una timida fioritura e come, dal fiorellino giallo, maturò una piccola biglia verde che andava via colorandosi di giallo e poi di rosso e che crebbe, crebbe, fino diventare un succoso pomodoro.

A fine stagione l’abbondante raccolto lo ricompensò di tutte le fatiche fatte per la coltivazione.
Non sentì neppure la stanchezza nel chinarsi ripetutamente per raccogliere e posare nelle cassette i bei pomi vermigli che, per una ragione a lui ignota, erano chiamati,

“Pomi d’oro”,
Ma che comprese in un secondo tempo; altroché se lo comprese!

Al mercato generale partecipò con altri coltivatori la gioia di un’ottima, pingue vendita.

Di ritorno dal mercato tentò invano di condividere la sua gioia con Clelia e le figlie.
Con tono di voce seccata la donna disse:
” Si d’accordo, ho capito. Bravo, tutto bene caro, ma adesso devo andare in palestra. A dopo. “
Le ragazze non avevano potuto sottrarsi alla sua autorità e, loro malgrado, avevano dovuto sorbirsi tutto il racconto, poi, tornate nella loro camera…
“Uffa, il babbo é diventato davvero pesante, adesso pare che esistano solo più i pomodori!”

Oscar, ormai esausto, si lasciò cadere sul divano del soggiorno e Melampo, un corpulento bassotto dal pelo focato, posò il muso tumido sulle sue ginocchia, guardandolo con grandi occhi tristi:
“Non te la prendere”, pareva dire, “Cosa vuoi fare, sono femmine”.
E cosi, data l’ora tarda e la tensione appena superata, sentì che le palpebre s’erano fatte pesanti ed avvicinandosi tra loro, avevano pian piano ristretto sempre di più l’orizzonte davanti a lui, fino a chiudersi.

Nell’incedere della stagione dovette soccombere al fatto che d’inverno i pomodori non crescevano in quelle latitudini, e quello fu davvero l’inverno più lungo che ricordasse.

Un timido sole aveva penetrato le fessure tra le persiane e si era insinuato proprio sopra gli occhi ancora chiusi di Oscar.
Era difficile rinunciare al tepore del letto, e le lenzuola, avvolgendolo, parevano imprigionarlo in un resistente abbraccio.
Con riluttanza posò i piedi accanto al talamo cercando a tentone le pantofole, ed allungò la mano per sfiorare il pulsante del paralume sul comodino.
Un fascio di luce illuminò l’orologio che segnava le cinque.
” Quanto tempo era passato dall’ultimo lavoro in giardino? “
” All’incirca tre/quattro mesi. “
” Era tempo di mettersi nuovamente all’opera! “
Dopo una frugale colazione s’incamminò verso l’orto.
Fu’ investito da una sferzata d’aria frizzante che lo fece rimpiangere di non aver indossato una maglia più pesante, ma il brivido cessò quando si ritrovò nel ” Suo Regno “.

Con sorprendente vigore s’accinse ad estirpare le erbacce che, nel frattempo, avevano conquistato il territorio.
Le sue mani, non più avvezze al pesante lavoro, in breve tempo si
ricopersero di callosità e piccole ferite.
Con rammarico ricorse all’uso dei guanti.
Si, con rammarico, infatti gli piaceva, il contatto diretto con la nuda terra, amava sentirla scorrere tra le dita, incunearsi sotto le unghie, conficcarsi nelle lacerazioni, e profumare di intenso odore l’aria.
In men che non si dica la pulizia e l’ordine fu ristabilito nel terreno.
Così, nuovamente riprese a tracciare solchi, con il consueto ausilio dello spago, a posare in ogni solco i piccoli semi del prezioso ortaggio, a ricoprirli col terriccio.

L’irrigazione, quella sì, fu un piccolo capolavoro.
Con grandi tubi neri aveva condotto l’acqua tiepida dello stagno fino ad una prima diramazione in tubi più piccini, che poi avevano ceduto il passo ad altri ancora più piccoli ed infine a

nastri di materiale, tra il plastico ed il gommoso, con piccoli fori dai quali usciva lentamente l’acqua che pregnava la terra, senza smuoverla.
Questa volta, espanse lo spazio del brolo, ed innalzò le serre sotto cui ora, poteva muoversi tranquillamente, in perfetta posizione eretta, e non già inarcando la schiena come l’anno precedente.

Alcuni coltivatori gli avevano parlato di un fertilizzante ecologico molto efficace; fece una prova su una sola piantina.
Non voleva danneggiarle tutte, nel caso la faccenda non avesse funzionato, e prima di farlo, annusò a lungo il prodotto, lesse gli ingredienti, ne scrutò il colore, lo passò sul dorso della mano, e solo dopo aver ponderato bene, ne decise l’uso.
Le sue piantine non dovevano soffrire per una errata concimazione.

” Che amasse davvero quei vegetali con sentimento così profondo?! “
Quando il riscaldarsi dell’aria lo consentì, tolse i teli di plastica e quelli più leggeri del ” velo da sposa “.
Purtroppo non aveva pensato al peggio; infatti, nell’ estate durante la quale l’afa toglieva il respiro, si scatenò un violento acquazzone e, purtroppo, mista all’acqua, scesero copiosi chicchi di grandine grossi come nocciole.
Oscar si precipitò fuori di casa, correndo, ansimando, imprecando, tentanto disperatamente di ricoprire alla meglio i pomodori.

Tutto fu inutile, il forte brontolio del cielo ed il vento impietoso ebbero la meglio sul raccolto.

L’uomo se ne stava seduto sulla terra, ricoperto d’acqua, di fango, di foglie fracide, di pezzi di rami, con gli occhi sbarrati, dai quali sgorgavano due lacrime mute, ed un groppo in gola non gli permise neppure di deglutire la saliva.
Si sentiva arso, svuotato, tremante, – sconfitto – .

Nessuno fu capace di allontanarlo da quella posizione per parecchie ore, poi, con tono di voce supplichevole e dolce, Clelia, stringendo le sue spalle tra le mani, gli disse:
” Ti prego caro, rientra in casa, non lasciarmi in pena, vedrai, porrai rimedio.”
Ricomincerai, escogiterai un sistema migliore per proteggere il tuo lavoro, – la tua passione – ed io ti aiuterò. “
Come folgorato, questa dichiarazione fece si che Oscar si alzasse e seguisse la moglie in casa.

Mentre l’acqua calda della doccia scorreva sul suo corpo, convogliando verso lo scarico fango misto e fogliame fradicio, l’uomo ripensò alle parole della compagna.
” Io ti aiuterò “.
Possibile che avesse capito il perché, la ragione profonda per cui lui aveva dedicato tanto tempo all’orto?

C’era qualcosa che non si poteva tagliare , non si poteva infrangere, qualcosa di strano, di irrazionale, una frenesia, un delirio, un’eccitazione armoniosa, nel suo rapporto con la terra. Qualcosa , … qualcosa che non si poteva sbloccare, nè spiegare,
… qualcosa…
Qualcosa di magico!.

Ed ora Clelia pareva comprendere, e , soprattutto, pareva voler condividere.
Il sonno fu animato da parecchi incubi e, mostri carpitori, si erano famelicamente avvinghiati alla sua mente.
Con un sussulto sobbalzò nel letto e spalancò gli occhi.
La camera aveva ripreso il suo posto attorno a lui.
La mano della moglie corse sul suo petto villoso accarezzandolo, e la sua voce lo rassicurò.

” Non mi lascerò vincere dagli eventi sfortunati. “
Aveva sostenuto con gli amici al bar.
Anche se a dire il vero, gli amici, erano piuttosto perplessi di come ci si potesse comportare tanto drammaticamente solo perché la grandine aveva spaccato qualche pianta di pomodoro.

L’estate era solo all’inizio, se si fosse messo di buona lena, avrebbe potuto riseminare.
Pensò, però, che sarebbe stato meglio ricorrere direttamente ad interrare piantine già nate, avrebbe accorciato i tempi!
Si recò presso un vivaio non molto distante da casa sua.
Giunto sul posto, venne pervaso dall’euforia che conosceva bene, e questo fece sì che comperasse tutte le piantine che erano rimaste.

Con profonda compassione, raccolse quel che era rimasto nell’orto e ricominciò da capo il lavoro.
Questa volta con lui c’era Clelia.

Non sentendo la fatica passò ore ed ore nel giardino, ritagliandole dall’impegno in ufficio.
Ogni giorno la sua pelle assumeva un colorito sempre più scuro, ambrato, forte; come la terra.

Mentre era intento a zappettare, con fare circospetto, si guardò attorno, per vedere che nessuno lo notasse, poi prese un manciata di terra, se la passò sulle guance, sulla fronte, l’annusò, e poi…la mise in bocca… proprio come fanno i bambini, si, i bambini e le piante; e notò che il gusto era di suo gradimento.

Con la solerzia che lo contraddistingueva, concluse anche quell’anno di occupazione campestre, con abbondante raccolto, e con altrettanto profitto.

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L’inverno questa volta fu meno lungo, perché, abbandonò il lavoro in ufficio, si impegnò a studiare un progetto di serre doppie, riscaldate, che gli consentissero di coltivare anche nei mesi freddi, comperò un piccolo camioncino, e, soprattutto, acquistò un grandissimo appezzamento di terreno, ben esposto al sole.
Non solo, ma si adoperò per preparasi direttamente le piantine e non dover ricorrere a serre esterne alle sue.
In ogni piccolo contenitore inseriva con le sue mani i semini, uno, al massimo due, per ciascuno recipiente.

L’estate non lo colse più alla sprovvista, l’esperienza maturata gli avevano insegnato che:
” Se non vuoi rimetterci il raccolto, devi coprire le serre con la rete antigrandine! “
Fu davvero un cospicuo bottino quello che fece, nel vendere i moltissimi pomodori, e questo gli consentì di acquistare altra terra, un camion più grande, e poi ancora e ancora, e ancora.

Ormai non passava più tempo nella sua casa.
L’orto era divenuto la sua casa.
Anche Clelia, che pareva rassegnata a non avere più un marito, non destava in lui alcuna emozione, ne le figlie, ne il dolce ricordo della loro nascita, ne gli amici, ne il viaggiare, ne lo sport, ne…, null’altro.

Anche l’utile pecuniario aveva assunto un aspetto secondario.
Non aveva alcun tipo d’interesse al di fuori della terra, al di fuori dei pomodori.

Gl’interminabili giorni e le interminabili notti, lo vedevano sempre nell’orto.
Guai a che ci fosse qualche piccola macchia sulle foglie.
Guai che ci fossero erbacce, erbacce peraltro estirpate, non combattute con diserbanti.
Guai che le serre non fossero perfette e che non ci fosse la rete antigrandine.
Guai che il terreno non fosse sempre fresco e ben concimato.

Pensava.
Pensava.
Pensava Oscar ai suoi pomodori,
al podere…,
al podere…,
ai pomodori.
In maniera continua, febbrile, ossessiva.

Ed una sera la stanchezza lo vinse ed al posto di tornarsene sul giaciglio che si era portato dentro la serra, s’addormento, proprio sulla terra, accanto ai pomodori.

La notte parve dilatare le pareti della serra, ed un suono sempre più assordante di tamburi percosse la mente dell’uomo.
Lampi di luci psichedeliche dai forti colori, squarciavano ed esaltavano le tenebre, e si alternavano a danze di personaggi sinuosi.
Freddi serpenti si avvinghiavano al suo corpo.
Bavose lumache gli strisciavano sopra in un crescendo esponenziale, lasciando la loro scia appiccicosa.

Al suono dei tamburi pareva corrispondere il cuore dell’uomo ed il sangue più denso stentava a proseguire la sua corsa nelle vene.
Anche l’aria aveva una densità più concentrata, e pareva penetrarlo in maggior misura dai pori che dai polmoni.
Le orbite non potevano più contenere gli occhi, introflessi.
La lingua si stava incollando al palato.
Ogni organo interno era in fermento tentando di sfuggire alla propria collocazione.

Tutto era capovolto
Tutto era in mutazione.
Tutto era in subbuglio, in rivoluzione.
Perle di sudore lo intrisero abbondantemente.

– ” Che fosse un
terribile incubo?!”

Il tiepido sole del mattino fece alzare il capo ai fiori delle piante, alle foglie.
Trovò Oscar con la bocca tenacemente serrata.
Piccole protuberanze diramate dai suoi arti, avevano penetrato la terra.
In quell’orgia di stallo,
in quell’esplosione i vita,
in quel sabba di colori di
odori e profumi,
in quella magia d’immobilità lui,…
…era diventato una pianta di pomodoro.

….Ma questa!…è un’altra storia……

In viaggio per Melinka - ebook gratuito

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