La maremma quando non era ‘maiala’ di Patrizia Palese

Da sempre la Maremma ha avuto la caratteristica come termine, di terra infernale. A darle questo carattere molte tradizioni e testimonianze illustri, prima fra tutte quella di Dante. Nel Duecento, però, questo tratto di terra compreso tra la Toscana e l’Alto-Lazio era al massimo del suo sviluppo economico. Quindi quando Dante parla di questa terra, sembra quasi che profetizzi quello che avverrà nei secoli successivi, quando le vaste pianure aperte sul mare erano infestate dalla malaria. Con questo articolo vorrei solo far “vedere” quanto essa si sia trasformata nei secoli diventando oggi un territorio fra i più belli del mondo.

Perché allora divenne così orrida nel ricordo la Maremma? Perché il potere della parola scritta, del motto, della sentenza, della definizione diventa per i posteri, attraverso il poeta o lo scrittore famoso, una legge da rispettare quasi un mito da ricordare, come se ciò che un singolo afferma si trasformi in parole scolpite nel marmo. Un nome a caso? Dante Alighieri che così parla della Maremma nel canto XIII dell’Inferno. Quando attraversa la selva dei suicidi, la prima visione che ne ha è quella di una boscaglia intricatissima formata da anime dannate, ma per far capire al lettore quanto essa sia intricata e fitta ricorre a una metafora che dà l’idea del luogo “Non han sì aspri sterpi né sì folti/quelle fiere selvagge  che’nodio hanno/tra Cecina e Corneto i luoghi còlti”

Questa informazione ci dice molto di più di quello che sembra: essa sancisce i confini settentrionali e meridionali della Maremma molto simili a quelli attuali, ovvero a nord il torrente Cecina a sud la zona di Corneto, oggi conosciuta come Tarquinia. Poi vi è quello che realmente appare: una Maremma selvaggia, inospitale, un ambiente ostile all’uomo tanto da esser paragonata a un luogo infernale. E se ciò non bastasse un altro passo dell’Inferno dantesco ci dice quanto la maremma sia mortifera. Mi riferisco al passo dove si presenta Pia de’ Tolomei, e quando questa ragazza pronuncia la conosciuta strofa “Siena mi fè disfecemi Maremma” è perché sposata a un nobile maremmano molto più anziano di lei, per motivi di interesse da parte della famiglia della ragazza; il verso fa sottendere che mentre Siena produce vita, la Maremma regali morte.

Si potrebbe pensare che questo accanimento contro la regione della toscana meridionale, fosse determinata dalla presenza della zanzara anofele apportatrice di malaria. Ma in realtà nel XIII sec. non vi era nulla di tutto questo e la zona non era né povera né insalubre, tanto che Dante per comporre i suoi versi aveva rispolverato solo antichi luoghi comuni e leggende riferite a questa terra. E per l’immagine delle boscaglie intricate? Per chi conosce quei luoghi non sarà difficile vedere le dune che corrono parallele alla costa ricoperte da una fittissima macchia mediterranea  che protegge le terre retrostanti dall’erosione  marina. Oggi si ritrovano in misura minima, mentre in passato la loro estensione era sicuramente maggiore, ma non tale da assicurare questa immagine di fittissima boscaglia come Dante ci vuole convincere.

Ma anche se fosse, sicuramente non è la Maremma duecentesca che era all’apice dello sviluppo economico medievale tanto che per Siena, città dominatrice della Toscana meridionale, essa rappresentava un reame. Nel territorio si ebbero importanti trasformazioni sia nel paesaggio agrario che nell’habitat proprio nel finire del medioevo segnandone le caratteristiche fino a tempi più recenti. È necessario però precisare che se nella zona tutto intorno si vedono montagne e colline, quando si parla di Maremma si intende l’area pianeggiante o al limite di bassa collina, che risale dalla costa verso l’interno della regione. Ecco perché il territorio è così influenzato dal mare, proprio perché sul mare si affaccia; il suo clima non è un clima da regione collinare o montuosa, quindi un inverno mite e non rigido come invece si trova all’interno.

Il territorio comunque profondo e fertile e viene trasportato a valle dalle acque di diversi fiumi e torrenti che dai rilievi dell’interno scendono a valle irrigando tutta la pianura; fra questi ricordiamo soprattutto l’Ombrone secondo solo all’Arno in Toscana per lunghezza. L’albero che caratterizza questa zona è senza dubbio il pino marittimo e lungo le coste si trovano vere e proprie foreste di pini che risalgono dalla costa verso l’interno a intervalli regolari ai margini delle strade. Questa specie arborea non è però nativa del luogo; essa è stata introdotta durante le bonifiche lorenese ( dal nome della dinastia che governò la toscana dal1737 al 1859) trovando qui il suo habitat ideale moltiplicandosi in breve tempo fino a dare l’impressione che fosse tipica della zona.

Questa è una sola delle tante diversità che caratterizzano la Maremma moderna da quella del passato e sempre in questo luogo si può affermare che in Toscana la Maremma ha conosciuto mutamenti così profondi a livello ambientale e naturale di sfruttamento del suolo e del paesaggio agrario e di conseguenza della popolazione. Ecco perché risulta importante leggere le cronache degli storici e degli archeologi del medioevo. Innanzi tutto pensiamo a una linea costiera ben diversa da quella odierna: essa risultava non precisamente definita e il mare invadeva ampie zone del territorio della Maremma, insinuandosi profondamente là dove oggi possiamo notare campi e territori coltivati, unendo quindi le acque salate a quelle dolci dei fiumi e dei torrenti interni provenienti dalle montagne e che si riversavano a valle.

Bisogna dire che le dune dei tomboli facevano una cortina per separare i diversi ambienti, ma lo scambio avveniva comunque soprattutto in prossimità delle diverse foci dei fiumi che avevano fatto nascere lagune e stagni ed era proprio qui che le diverse acque confluivano. Per avere una idea il più vicino possibile a quella realtà, possiamo osservare la laguna di Orbetello, il vicino stagno di Burano, riserva naturale. Quello che riesce più difficile immaginare è l’attuale pianura di Grosseto, la più vasta della zona, quasi completamente sommersa da un lago chiamato Prile sulle cui rive si trovavano scali portuali, saline, villaggi di pescatori e allevamenti di anguille; di conseguenza in quella zona vi era una vita economica intensissima.

Primaria importanza era costituita dal sale, che all’epoca era l’unico espediente per conservare le carni. Con esso si faceva un lucroso commercio anche a livello internazionale; basti pensare che Venezia fondò originariamente le sue fortune sul traffico del sale. Nelle lagune maremmane, i fondali erano bassi e di conseguenza quelli prossimi al litorale formavano un ambiente ideale per l’estrazione del sale. Leggiamo nel trattato di mineralogia DE RE METALLICA che le saline dovevano trovarsi nel luogo “… dove il mare haverà fatto stagno e che la pianura de’ campi sia grande , spaziosa e pari, e dove l’onde del mare non entrano”. Fu così che si costruirono decine e decine di vasche e cottoi, ossia superfici esposte al sole dove l’acqua marina veniva fatta evaporare, dagli abitanti della zona. Il paesaggio maremmano del tempo doveva quindi essere molto simile a quello che si può vedere oggi intorno a Trapani, dove si possono ammirare il bianco dei cumuli di sale contro l’orizzonte.

E di questa importante attività se ne trovano notizie in pochissimi documenti prima dell’VIII secolo. In alcune pergamene dei primi del Duecento, ci sono notizie che attestano la grande intensità del fenomeno economico in quanto la produzione annua era pari a circa 8/9000 tonnellate odierne e gran parte del ricavato era destinato all’esportazione. Se confrontiamo le saline di Ibiza con quelle grossetane, rileviamo da documenti dell’epoca che negli anni trenta del Trecento, quelle di Ibiza fornivano soltanto 2000 tonnellate all’anno di sale. Per cui in quegli anni si creò una società monopolistica per il commercio e la vendita del sale e fu chiamata DOGANA DEL SALE DI GROSSETO che vedeva coinvolti, oltre ai ricchi mercanti senesi, anche i veri signori della Maremma, i nobili Aldobrandeschi e lo stesso Comune di Siena.

Nel porto fluviale di Grosseto vi erano grandi magazzini dove si stivavano i grandi sacchi di sale in attesa delle navi pisane o genovesi che facevano lì scalo. L’estrazione di sale per i maremmani era però solo una attività temporanea, in quanto si svolgeva nei mesi estivi, mentre nel restante anno si dedicavano alla pesca e all’allevamento delle anguille nei laghetti d’acqua dolce, oltre che all’agricoltura sulle basse colline circostanti. Nei villaggi della riviera vi era questo strano personaggio di contadino-pescatore-salinaro, strano per noi, ma che al tempo era assolutamente normale. Nei secoli centrali del medioevo il maremmano cambiava attività a seconda dell’esigenza stagionale e del suo habitat per ricavare il meglio dal territorio.

La prima agricoltura era senza dubbio il grano che veniva piantato dovunque, anche per esigenza di una popolazione sempre in via di crescita, ma sulle pendici delle colline si piantava anche la vite tanto che il vino di Castiglion della Pescaia era molto apprezzato al punto da essere merce di esportazione sempre via mare. Riassumendo: in questa zona vi era ricchezza economica, remunerativa diversificata che riusciva a dare lavoro a una popolazione numerosa sana e felice. Nel mercato di Grosseto vi erano mercanti senesi, pisani, genovesi, fiorentini che acquistavano prodotti per poi rivenderli all’estero. Per il turista del tempo la Maremma si presentava in modo molto diverso: un paesaggio costiero mosso con forti contrasti cromatici dal bianco delle saline, al blu delle acque, dal biondo delle messi al verde delle colture arboree.

Unico elemento che rimase immutato fino ai giorni nostri è la sottile linea del tombolo ricoperto dalla macchia mediterranea che aveva acceso la fantasia di Dante. Nell’entroterra vi erano vasti boschi di lecci e di castagni che in tempi attuali, a causa dell’abbandono, sono divenuti luoghi quasi impenetrabili. Per capire come si sia sviluppato il territorio si deve fare un salto all’indietro e ovvero alla fine dell’Impero Romano, quando interrompendosi le comunicazioni con le altre zone del mediterraneo, fu gioco-forza che le popolazioni locali si convincessero a far affidamento solo sulle proprie risorse e a non aspettarsi più rifornimenti di merci dall’esterno. Ecco perché si scoprì o riscoprì il territorio che precedentemente era stato scoperto dagli etruschi, soprattutto verso la sommità delle colline che contenevano giacimenti minerari di specie diversa.

Quelle stesse colline che in tempi posteriori saranno chiamate metallifere in quanto contenti argento, rame, piombo, zinco, stagno, vetriolo, ferro. In epoca altomedioevale di questi minerali se ne faceva grande ricerca ed ecco allora sorgere nelle zone maremmane e nei punti più alti dei villaggi in cui vivevano giovani comunità di contadini-boscaioli-miantori. Solo in seguito comparvero i castelli allorché le famiglie aristocratiche della zona compresero che questa zona aveva un ruolo economico importante e presero la direzione di tutte le operazioni. Alcuni di questi luoghi sono giunti fino a noi, altri, la maggior parte, sono stati inghiottiti dalla boscaglia quando furono abbandonati. Attualmente alcuni di essi sono stati soggetti a indagini archeologiche e da qui si è potuto tracciare sommariamente una linea evolutiva del paesaggio agrario e dell’insediamento umano nelle zone.

 Possiamo citare il castello di Rocchette Pannoochieschi, di cui restano ruderi nel bosco di Massa Marittima e Monterotondo, a un altezza di circa 450 metri sul livello del mare. Poco distante dal castello sorgeva un semplice villaggio abbandonato in una data imprecisata prima del XII secolo, proprio quando sulla sommità della collina cominciò a sorgere il castello; vi era in prossimità dello stesso giacimento di rame e argento. Se ne deduce che il passaggio dal villaggio al castello produsse un cambiamento radicale nella vita degli abitanti: nel villaggio si praticava l’agricoltura in maggior grado, mentre nel castello l’impatto con l’ambiente fu più profondo e determinante.

I giacimenti erano superficiali e quindi l’estrazione dei minerali interessati avvenivano in cave a cielo aperto quindi, i minatori aprivano nel terreno enormi crateri che avevano impianti di discesa e risalita. Rocchette Pannochieschi è circondata su tutti i quattro lati da grandi cave con un diametro circa di 100 metri e una profondità di circa 30. A ridosso delle mura del castello frammiste alla case di abitazioni vi erano gli impianti di trasformazione del minerale e a una cinquantina di metri vi  erano strutture che formavano una specie di quartiere industriale. Le scorie che venivano a formarsi ed erano in grande quantità venivano gettate nelle cave aperte che in questo modo si ricoprivano parzialmente. Essendo la necessità principe  quella di lavorare il minerale, servivano grandi quantità di carbone di legna ed è per questo che i boschi limitrofi furono saccheggiati rendendo l’intera zona brulla e stepposa.

Questo panorama nel X-XII sec. era pressoché identico nella zona in quanto in quel periodo c’erano molti Castelli minerari. Quando poi nel XIII sec. dall’Elba si iniziò a importare ferro per lavorarlo nel  continente, l’impatto ambientale fu ancora più considerevole continuando l’opera di disboscamento locale avendo ripulito le colline esistenti.  Da tutto questo risulta evidente che la Maremma in quel periodo medioevale fu un territorio ricco e appetibile: sale, anguille, cereali, vino, olio, minerali e per questo divenne un reame ambito dai padroni senesi, ma anche questo stato non era destinato a durare. Non si può individuare in un solo fattore la causa del declino di un sistema economico che aveva funzionato per secoli creando poi il paesaggio agrario descritto precedentemente.

Possiamo dire però che agli inizi del Trecento nacque un  disagio diffuso. Nel 1333 ci furono due disastrose alluvioni che deviarono il corso dell’Ombrone allontanandosi di diversi km da Grosseto interrando il porto fluviale e rendendolo inservibile. I giacimenti minerari dimostrano di essere sempre più costosi nello scavare e qualcuno si esaurisce. Le saline rendono sempre meno fino a cessare la produzione nel 1386 e in quell’anno  una commissione dichiarò che il lago Prile era divenuto uno stagno di acqua dolce. Nel 1348 scoppia la peste in tutta Europa e qui infierì maggiormente spopolando castelli e villaggi e rendendo i terreni incolti per mancanza di mano d’opera e a poco a poco la selva inghiottì. Eserciti e mercenari devastarono il territorio tanto che le autorità senesi dovettero accettare che la Maremma non sarebbe più potuta essere  il terreno rigoglioso di prima.

Subito dopo la peste nera, si convenne che la zona poteva solo essere trasformata in pascolo per il bestiame dell’intera toscana. Precedentemente nella zona si era sviluppato anche l’allevamento facendo pascolare gli animali nei periodi di riposo colturale e questo pascolo di animali serviva anche per concimare il terreno. E fu questa l’unica attività su cui si riversarono tutti gli sforzi in quanto l’unica praticabile su larga scala. Nel 1353 venne creata la DOGANA DEI PASCHI, che era di fatto un ufficio governativo con autorità su tutte le terre della Maremma. Si trovò un geniale sistema per far fruttare le terre maremmane rimaste incolte: Siena acquistò terre da Massa Marittima a Sovana, la piana di Grosseto fino al corso dell’Albegna. Stabilì delle regole precise: i pastori potevano portare le loro mandrie in Maremma, ma dovevano pagare un tanto a capo e dovevano sottostare alle leggi senesi.

 In cambio Siena avrebbe fornito pascoli rigogliosi, personale di sorveglianza stipendiato e rifornimenti di viveri. Inoltre in primavera i pastori potevano portare con loro ritornare alle loro terre di origine i nuovi nati, formaggio, denaro guadagnato tramite vendita diretta dei prodotti. Ogni zona da pascolo era rigorosamente delimitata e questo per far sì che ognuno avesse buon foraggio e soprattutto che il terreno non si impoverisse troppo. Il terreno quindi era diviso in quattro tempi: il primo dal 1 settembre al 1 novembre e si pascolava sulle alte colline dove vi era umido e fresco aspettando che le piogge autunnali facessero spuntare l’erba nella pianura. Quindi le greggi dell’Appennino pistoiese andavano nella zona di Montemassi mentre quelle del casentino e del mugello andavano nella zona di Paganico e quelle di fuori toscana nell’aerea di Biancani.

Nel secondo tempo ovvero dal 1 novembre a Natale, nel momento in cui si effettuava la conta del bestiame, i primi due gruppi venivano fatti scendere nella pianura di Grosseto al di qua dell’Ombrone, il terzo gruppo andava nella piana oltre il fiume. Il terzo tempo era più breve e arrivava al 15 gennaio e allora si riuniva tutto il bestiame sulle basse colline tra l’Ombrone e l’Albegna. Il quarto tempo si attraversava l’Albegna e si arrivava al 30 aprile giorno in cui scadeva il contratto. Questo sistema ebbe un gran successo e le greggi erano numerose e questo si protrasse fino al XX secolo inoltrato. Siena ne ebbe un guadagno notevole e la Dogana dei Paschi divenne la principale entrata delle casse  comunali. Il danno che però ne seguì alle terre fu notevole: non potendo governare bene le mandrie anche se i criteri fossero ottimi, i campi medesimi alla fine risultarono adatti solo al pascolo e alla fine la selva, non più contrastata come nel passato, si rimpossessò dello spazio che le generazioni precedenti le avevano strappato.

Poi vi era il problema dei canali e fossi, già critici fin dal XIV secolo. Con il passaggio di migliaia di animali e dei loro zoccoli, essi collassarono definitivamente e la palude malsana prese il sopravvento tanto che la prima attestazione di febbri malariche si ha nel 1466. Tutto questo era impensabile 200 anni prima, ma questo fu il risultato dello sconsiderato uso di una terra bella e ubertosa. Dalla prima metà del 400 la Maremma divenne meta di migrazione dalla Corsica assumendo ben presto dimensioni considerevoli. La popolazione originaria era stata decimata dalle pestilenze e dalle crisi economiche e l’esodo si spostava su i molti terreni incolti. E da qui vennero franchigie e immunità varie per coloro che avevano intenzione di abitare i castelli maremmani.

 Inoltre nella corsia del tempo vi erano guerre senza fine fra Genova e gli Aragonesi che si intrecciavano con le rivalità dei clan locali creando una situazione quotidiana insostenibile. Ecco il perché di questo esodo verso la Maremma da parte dei Corsi. Ben presto le autorità senesi cominciarono ad agitarsi: un gruppo di immigrati stabilendosi nei centri abitati aveva acquistato le terre e si era integrato; un altro gruppo più povero non avendo trovato di che stabilirsi, vagava da luogo a luogo e sempre ai margini della legalità. E così si formò una distinzione fra i buoni Corsi e i cattivi Corsi, dando a quest’ultimi la responsabilità di ogni crimine. A quel punto si cercò dapprima da parte del governo di Siena di rendere responsabili delle azioni dei cattivi Corsi, i buoni Corsi, poi di porre un’argine all’immigrazione stabilendo una soglia minima  di censo per coloro che volevano stabilirsi in Maremma, e per ultimo istituendo speciali forze di polizia.

 Nulla di questo valse: i problemi andarono a vanti per secoli fino a quando tutti divennero completamente integrati. Fra il X e l’XI secolo per volontà dei conti della Gherardesca sorse il villaggio di Rocca San Silvestro abitato per lo più da minatori allo scopo di sfruttare le risorse minerarie  e rimase in uso fino al XIV sec. nel punto più alto vi era la torre di guardia  dell’XI-XII sec. che dominava la dimora signorile. Nel versante orientale della rocca vi erano case del borgo dove risiedeva la popolazione. Nel versante opposto a quello del borgo vi erano gli impianti per la trasformazione di rame e piombo argentifero. La rocca di San Silvestro era presso Camiglia Marittima in provincia di Livorno. Il lago di Burano, ai limiti meridionali della Maremma grossetana ha una laguna salmastra che oggi è una riserva naturale protetta ed è separata dal mar Tirreno da un doppio cordone di dune sabbiose. Il paesaggio attuale ricorda quello originario della pianura di Grosseto, un tempo  sommersa dal lago  Prile.

Un altro argomento su cui Dante sproloquiò fu la vicenda della costruzione del porto maremmano di Talamone, che egli considerò come esempio provato della vanità e del velleitarismo dei Senesi in quanto si diceva all’epoca che essi per costruirlo avessero speso un fiume di denaro per ritrovarsi con un pugno di mosche. Dai più viene ricordato come porto di scalo dei garibaldini durante al spedizione dei Mille, ma esso esisteva come porto fin dall’età etrusco-romana, anche se fu poi abbandonato durante l’Alto Medioevo e poi riutilizzato intorno al 1303 e acquistato dal governo senese per 900 fiorini d’oro. I mercanti del tempo erano gente pratica e affatto vanesia; non ci fu alcun sperpero di denaro come dimostrano studi storici  e i senesi furono molto accorti nel costruire le strutture necessarie.

 Sul promontorio fu costruito il castello e case abitative rispettando un preciso piano edilizio di cui è rimasto il golfo e il porto. Era in effetti uno scalo isolato e lontano dai centri abitati, ma si rivelò comunque fruttuoso quando si chiudeva il porto pisani alle merci fiorentine in tempo di guerra e in quelle occasioni le entrate facevano  incamerare al governo senese migliaia di fiorini d’oro all’anno. La rocca medievale di Talamone si affaccia sulla costa tirrenica e l’antico borgo sorge su un promontorio all’estremità meridionale dei Monti dell’Uccellina in provincia di Grosseto. Nel parco naturale dell’Uccellina , che si estende nel tratto costiero che va da Grosseto a Talamone nel comune di Orbetello, comprende nell’aerea centrale e meridionale i monti dell’Uccellina completamente ricoperti da macchia mediterranea e dove vi si trovano numerose torri di avvistamento costruite tra il XV e il XVI sec.

Ma perché proprio quel nome? Sono state proposte diverse spiegazioni più o meno fantasiose sul nome Maremma. La più attendibile sembra essere quella che questo nome derivi dalla circoscrizione amministrativa MARITIMA nata nell’età imperiale romana ripresa in epoca longobarda e dava la connotazione dell’area costiera delimitata dal bacino del fiume Cornia a nord e da quello dell’Albegna a sud. Questa zona è leggermente più piccola rispetto a quella a cui si riferisce Dante e a quella che corrisponde alla geografia attuale; infatti le parti mancanti a quella antica oggi si chiamano MAREMMA PISANA (PROMONTORIO DI PIOMBINO E VALLE DEL CECINA ) E MAREMMA LAZIALE( ESTESA VERSO SUD LUNGO IL LITORALE TIRRENICO FINO ALLA FOCE DEL MARTA).

 Il confine interno appare più incerto. Un primo limite è nei primi contrafforti del Monte Amiata monte di origine vulcanica alto 1700 metri sul mare che domina tutta la Toscana meridionale. Diciamo che è circoscritta in un triangolo isoscele che ha come base la linea costiera e come vertice il monte Amiata il lato settentrionale delimitato dalle colline metallifere. Simone Martini dipinge Guidoriccio da Fogliano all’assedio di Montemassi. Questo dipinto datato 1330 si trova a Siena nel palazzo pubblico e precisamente nella Sala del Mappamondo al centro del quadro stesso si può vedere il comandante senese a cavallo che si dirige verso il castello di Montemassi e sullo sfondo il paesaggio della maremma toscana caratterizzata dai borghi turriti sulle cime delle colline.

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