Bruno Mancini
Bruno Mancini è nato a Napoli nel 1943 e risiede ad Ischia dall’età di tre anni.
Oltre ad essere ideatore del progetto “La nostra isola”che già tante soddisfazioni ha data alla cultura ischitana e non solo, è anche narratore e poeta, autore di una serie già ben nutrita di pubblicazioni.
A lui piace dire che l’origine della sua ispirazione o forse solo un iniziale impulso ancestrale ed istintivo, il vero basilare momento poetico della sua vita, si è concretizzato nell’incontro, propriamente fisico, tra i suoi sensi acerbi, infantili, e le secolari, immutate, tentazioni autoctone dell’Isola d’Ischia, dove le leggi della natura sembravano fluire ancora difese da valori di primitive protezioni.
Alcuni brevi commenti ricavati dalle recensioni ai suoi libri:
“… si fondono nell’intero componimento in una prospettiva ampia che contempla l’umano, l’umano cammino. Ed è una Commedia, una Commedia divina in chiave poetica, in versi che sento anche io estremamente dolorosi, con il preciso intento di affidarli alla penna, che non li disperda ma li urli e li renda in qualche modo eterni”.
“Opera interessante per i contenuti e le tematiche affrontate, nonché per i valori estetici…”
“Una prosa lacerata e sfuggente…”
“Lavoro intenso, vissuto nella profondità della sua composizione, fatta di toni e di immagini…”
“Una voce nuova che chiama ad ascoltarla ed a giudicarla senza inibizioni, come liberamente essa è sviluppata.”
Il sospiro poetico di Bruno Mancini è il tempo, che pur non mostrandosi con battiti d’ali improvvisi, s’incunea nella sua vita come un turbine entro il quale la sua anima si trova a fissare volti indefiniti, in antitesi ed in lotta contro ignoti mausolei, mentre, in assoluta autonomia, sentimenti irrefrenabili proseguono nella loro essenza, precisi e chiari, attenti a riempire ogni minimo attimo, quasi fossero regolati da un orologio svizzero.
Ancora hai voglia
di scindere i miei se
come s’io fossi lampada
pendente
al soffio mobile
la luce e buio io
fossi senza penombre
io
fossi
sia
sono
radice e foglia
il male e il bene
bastardo io
sia
sono valigia e pugni
sorrisi e inganni
testardo io
sono
la culla delle tue incertezze
il dondolo delle tue dolcezze.
Di Capri un po’
Enorme scoglio brullo,
come le scorze ruvide
di angurie tropicali
a chiazze agrumate
sbuffate
in macchie di ghepardi:
di Capri un po’.
Zaino seta fardello,
dagli aculei stemmi americani
tesi tra bordi sfilacciati
fruscianti
un’unghia sotto le nuche rasate:
di Capri un po’.
Telo d’intrecci esotici,
per gli occhi degli sciami giapponesi
ombreggiati dal sol levante
filato
sulle falde dei berretti:
di Capri un po’.
Progenie umana dell’isola di tutti,
contemplo
insieme alla sposa di sempre
il dolce silenzio dei nostri sogni.
Sono già colmo di balzani presagi,
ora che il timpano auricolare destro
assorbe a malapena il caos
il caos di motori arrugginiti,
la feccia di pagliacci umani,
la polvere del nulla.
Schierando eventi di memorie,
listelli a forma di scacchiera,
il padiglione sinistro
sinistro reticola notizie drogate
– sarà la prima volta che… –
– che prima volta, l’ultima -.
Ho tempo ancora per ricomporre
mosaico dal centro al nulla
zigrinando in fuochi a spirale
spirale verso infiniti agganci alla follia,
nel mi bemolle minore
per un bel sogno che non dura sempre.
Nel manto unisono che scioglie i tuoi silenzi
in sordi affanni della mente,
io vate,
dileggio
il fato e il nulla
e sosto sugli appigli del pudore.
Avviso intero un moto,
a tromba d’aria,
risucchio turbinoso
di apparenze terrene
mentre tu trami un ritornello,
cicala,
ti voglio.
Ancora più si spandono
tra incastri attanagliati,
nessuno sa fermarli,
contorti frammenti
di un dissennato puzzle dei sentimenti,
ma il centro è immobile.