Intervista a Giacomo Casaula

 

È un piacere averti con noi. Artista completo, cantautore e scrittore. Ti va di presentarti ai nostri lettori?

Sono, come hai detto tu, un artista. Il Teatro è il punto di partenza che si allarga alla scrittura, alla musica (in particolare al Teatro-canzone) e anche a nuovi settori che vorrò sperimentare come cinema, pubblicità e tv. Per il resto sono un ragazzo di 30 anni, napoletano, con molti obiettivi da raggiungere.

Oltre a scrivere ami leggere? E qual è il genere che preferisci?

Adoro leggere, e non credo di avere un genere preferito. Mi piace qualunque cosa in cui possa ritrovare un’urgenza reale di comunicare un contenuto, qualunque esso sia.

Desideravi scrivere libri sin da piccolo?

E’ un desiderio che è nato nel tempo, soprattutto dagli ultimi anni del liceo.

Quando hai iniziato a far pubblicare i tuoi romanzi, ovvero quando hai sentito che era il momento giusto per farli conoscere?

Inizialmente avrei voluto pubblicare subito tutto, poi ho capito che ogni storia ha bisogno del suo tempo, per cui sono soddisfatto del momento esatto in cui sono usciti i miei romanzi.

Se dovessi definire la tua scrittura quali parole utilizzeresti?

Una scrittura che ha un’urgenza reale di comunicare qualcosa. Potrei essere ripetitivo ma penso che nasca tutto da qui, se non c’è la necessità impellente di scrivere mi piace fare altro.

Parliamo di “Siamo tutti figli unici”. Cosa significa il titolo?

Credo sia abbastanza emblematico, c’è una solitudine dilaniante che ci rende inevitabilmente più soli.

La crisi della famiglia è al centro del tuo ultimo romanzo. Esiste quella perfetta?

Più che la crisi della famiglia che è già un secondo passaggio, al centro del romanzo c’è la solitudine, intesa in tutte le sue forme e attraverso ogni generazione. Comunque no, non credo esista una famiglia perfetta alla ‘Mulino bianco’.

Da cosa prendi spunto per realizzare le storie dei tuoi romanzi?

Da un qualcosa che si muove dentro e mi spinge alla tastiera. Questo ‘qualcosa’ può provenire da fuori (fatti di cronaca, vita reale ecc) o da dentro (sussulti, scosse, letture ecc).

Se dovessi dare un consiglio a qualcuno che sta intraprendendo la strada della scrittura cosa gli diresti?

Di buttare fuori tutto quello che ha dentro e di spendersi interamente. Bisogna essere terribilmente credibili quando si scrive.

Al momento stai lavorando a un nuovo romanzo?

Diciamo che sto rimettendo mano a qualcosa di vecchio, comunque sto scrivendo. Lo faccio anche come forma d’esercizio, è un lavoro anche questo.

Ultima domanda Giacomo, quali sono i tuoi progetti futuri e come ti vedi da qui a 10 anni?

Vorrei continuare a fare quanto sto facendo allargando sempre più il cerchio per arricchirmi interiormente e cercare di migliorare sempre, basterebbe questo.

Grazie per l’intervista e un grande in bocca al lupo!

Grazie a te e viva il lupo!

EMANUELA ARLOTTA

 

 

Genesi di ‘Siamo tutti figli unici’

Una scena in una discoteca affollatissima che avesse come sbocco finale un unico grande tema, la solitudine.

Premessa fondamentale: seppure ‘viziato’ e influenzato dalla pandemia, in questo romanzo non c’è traccia o menzione del Covid. D’altronde la solitudine era un elemento già presentissimo nelle vite di ognuno di noi, ben prima che il virus ce lo facesse ricordare con brutalità.

La protagonista della storia, la solitudine appunto, è dunque declinata in tutte le forme possibili; attraverso tutti i personaggi usando molto spesso narrazioni che intrecciano anche i punti di vista e le persone, con formule di scrittura anche lontane tra di loro (la lettera, la pagina di diario, i soliloqui a mo’ di sceneggiatura, i capitoli ‘intitolati’ di raccordo ecc.).

L’idea è che fosse una presenza trasversale, che andasse dai ragazzi a me coetanei (Luca e Francesco) alle generazioni precedenti (Ambra, Riccardo e soprattutto Viola). Qui urge però una ulteriore precisazione.

La solitudine è una condizione a cui tutti i personaggi sono legati, la cercano, la sfuggono, la esorcizzano, ma inevitabilmente cercano di superare per creare una formula di ‘noi’ più vera ed essenziale. Qui si allaccia un secondo tema, o meglio una  prosecuzione ideale del primo, cioè il sentirsi incompleti, l’incompletezza.

Tutti i personaggi della storia sono soli perché incompleti e viceversa. Ovviamente non c’è riferimento a una condizione sentimentale ma esclusivamente esistenziale.

Forse proprio per questa condizione osmotica volevo che almeno la più anziana del gruppo (nonna Viola) potesse in qualche modo avere già ‘visto’ o provato queste cose, da qui l’aggancio con il deja-vu.

Ho scelto la solitudine come protagonista per ritornare a un’essenzialità che oggi credo manchi, tutti connessi, tutti frenetici, tutti inesorabilmente soli.

Una postilla finale la spendo per i moltissimi e disseminati riferimenti cinematografici e musicali presenti all’interno della storia (gli Oasis, i Nirvana, i film di Verdone, Anna Magnani, la Wertmuller, Gaber, fino ad arrivare a Erminio Sinni e Brunori Sas). Avevo piacere, man mano che il corpo prendeva vita (all’inizio come già detto avevo solo una singola scena in mente), che ci fossero dei piccoli elementi comuni in cui sia io, sia mi auguro i lettori potessero ritrovarsi.

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