Il “paradosso” della felicità…

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ELUCUBRAZIONI ALIEATORIE E SPARSE SUL SENSO COMUNE DELLA FELICITA’…

 

 

COS’E’ LA FELICITA’?

 

Bernard Shaw (scrittore e drammaturgo irlandese) sosteneva che “il segreto per essere infelici è di avere il tempo di chiedersi continuamente se si è felici o no…”.

Sarà vero?

Ad ogni modo, chi di noi non si è mai posto almeno una volta nella vita l’interrogativo “ma io sono felice?”.

Se ponessimo a chiunque ci sta vicino questa semplice domanda -“sei felice?”-, stiate certi che riceveremmo pressoché sempre la stessa risposta: “forse, o meglio qualche volta…”.

Ma se a questo interrogativo aggiungessimo anche la domanda “ma cos’è per te la felicità?” ci accorgeremmo presto di ricevere non una ma tante diverse risposte quante le persone a cui ci saremmo rivolte.

Per quale ragione?

Perché la felicità è un sentimento universalmente conosciuto e perseguito ma non facile da descrivere.

Forse non c’è nulla nelle nostre vite di più soggettivo ed opinabile, vago e relativo, discutibile e surreale come il concetto stesso di “felicità”, indeterminato a tal punto che -sosteneva Immanuel Kant, che non ha certo bisogno di presentazioni…- “nonostante il desiderio di ogni uomo di raggiungerla, nessuno è in grado di determinare e dire coerentemente che cosa davvero desideri e voglia”!

 

Tra mille relativismi, un piccolo punto fermo è possibile apporlo alla descrizione della felicità: con tale parola non intendiamo di certo una condizione materiale, uno stato oggettivo, bensì una condizione sentimentale, uno stato d’animo positivo, di pieno benessere psico-fisico.

Se volessimo, poi, ricorrere ad altre parole per descrivere ancor meglio questo concetto, suggerirei le seguenti: la felicità è una straripante sensazione di soddisfazione totale, di “pienezza” che ci pervade l’animo e ci pone per un attimo sulla cima più elevato di un Olimpo!

La felicità -ove sperimentata- è un pò come un Kharma, forse l’unica forma di Illuminazione per davvero alla portata di tutti: uno stato -evidentemente temporaneonel quale l’uomo diviene imperturabile di fronte ad ogni avversità, non chiendeno più nulla alla vita nella vana convinzione di non aver bisogno più di nulla per appagare i propri desideri!

Chi è felice è una persona fieramente libera, pienamente autonoma, compiutamente realizzata!

 

 

QUANTO PUO’ DURARE LA FELICITA’?

 

Davanti ad una prospettiva di felicità permanente e invariata non indietreggerebbero forse tutti, per il terrore di morire di noia?“, si chiedeva lo scrittore britannico Aldous Huxley.

Di certo nessuno potrà mai scoprirlo, poiché non esiste in alcuna forma una felicità “stabile e perpetua”.

Anzi -sosteneva Pier Paolo Pasolini- “la felicità ha sempre vita breve“: “la felicità della vita è fatta di frazioni infinitesimali: di piccole elemosine, presto dimenticate, di un bacio, di un sorriso, di uno sguardo gentile, di un complimento fatto col cuore” (Samuel Taylor Coleridge).

Se la felicità esiste per davvero -e se agli uomini è data la possibilità di viverla-, stiate certi che poc’altro nelle nostre vite appare più sfuggente di quest’effimero stato febbrile chiamato “felicità”!

Arde più di tutti esser felice soprattutto chi ha provato almeno una volta cosa voglia dire esserlo… Ma è proprio chi è stato felice ad esser consapevole più di ogni altro di come la felicità non lo accompagnerà mai abbastanza nella propria vita per appagarlo pienamente!

Se esser felici è impresa alquanto ardua, dunque, praticamente impossibile è restarci a lungo!

 

 

PERCHE’ E’ COSI’ ARDUO RAGGIUNGERE LA FELICITA’?

 

La ragione di tutto forse è più semplice di quanto appaia: la felicità non fa per l’uomo!

E la causa di ciò potrebbe risiedere nell’innata “contraddizione esistenziale” umana, ben descritta da Socrate nella notoria definizione di “animale sociale”.

Secondo una mia personalissima interpretazione del pensiero socratico, difatti, la natura umana è contraddistinta da due forze “uguali e contrapposte”:

1- l'”animalità”, qualità che si ricollega alla natura istintiva, primordiale, emotiva, irrazionale dell’uomo (alla tendenza innata a seguire ciecamente i propri istinti e desideri…);

2- e la “socialità”, qualità che si ricollega alla sua natura razionale, ragionevole, “cogitante” (alla spinta ad uniformarsi ai propri doveri sociali, dettati dalle ragioni di una necessaria convivenza con i propri simili…).

Proprio nella perenne contrapposizione tra queste due “spinte interiori” dell’uomo si può rintracciare il principale ostacolo incontrato nella via verso la felicità!

 

Cosa concretamente ci impedisce, quindi, d’esser felici?

A farlo sono i “condizionamenti esterni” (legati al mondo delle persone “giudicanti” che ci circonda), i quali ci rendono impossibile essere pienamente “noi stessi”, realizzare compiutamente i nostri più naturali istinti (così finendo col mortificare o spegnere sul nascere i nostri più primordiali desideri).

Ciò spinge gli uomini, piuttosto che a realizzare se stessi, a realizzare i desideri che “gli altri” esprimono su di loro, regolando le proprie scelte sulla base delle aspettative altrui.

Tutti ricerchiamo la felicità, ma il più delle volte finiamo con l’inseguire “target di felicità” a noi inculcati, a cui siamo stati ben allenati, educati, esortati con sapiente maestria fin dai primi anni dell’infanzia.

L’ideale di felicità, così, finisce con l’assomigliare più ad un “pacchetto pubblicitario” preconfezionati dalla società a perfetto uso e consumo di ogni consumatore!

 

L’affermazione universale di una cultura “consumista ed iper-capitalista”, poi, ha finito col creare una “religione laica interclassista” fondata su un unico dogma: quello per cui l’aumento della ricchezza sia sufficiente a garantire un proporzionale aumento della felicità (o quantomeno a non provocarne la diminuzione).

Una religione il cui straordinario successo è pari solo alla propria assiomatica “velleità”: quella di credere l’uomo un perfetto consumatore e non anche un essere dotato di sentimenti e capace di emozionarsi!

Fondare la felicità sulla ricchezza equivale a costruire un enorme castello di sabbia: come credere che la misura della felicità di un uomo possa dipendere dalla capienza del suo portafoglio?

Come immaginare che la felicità possa essere un bene misurabile con unità di misura economiche quali il Pil, il reddito pro-capite o le rendite di capitale?!

La vera natura umana -diversamente da un comune bancomat!- si nutre non solo di bisogni materiali ma anche di bisogni squisitamente emozionali!

La ricchezza, dunque, può apportare certamente benessere all’uomo modermo ma non offre alcuna “garanzia di felicità”.

La felicità interna lorda è molto più importante del prodotto interno lordo”, ha recentemente sostenuto sul Financial Times il re del piccolo stato del Bhutan, Jigme Singye Wangchuck.

Come dargli torto?…

 

Non solo non esiste alcuna equazione matematica del tipo “+ricchezza = +felicità” ma, almeno stando a Richard Easterlin (professore di economia all’Università della California e membro dell’Accademia Nazionale delle Scienze), vi sarebbe tra tali due termini una relazione inversa.

Secondo il cd. “Paradosso della felicità(elaborato proprio da Easterlin nel 1974) la felicità delle persone dipende molto poco dalle variazioni di reddito e ricchezza che si riscontrano nel corso delle loro esistenze.

Anzi alcune ricerche avrebbero dimostrato come, quando aumenta il reddito (e quindi il benessere economico), la felicità umana aumenta fino ad un certo punto, per poi cominciare a diminuire, seguendo una curva ad U rovesciata!

Può la scienza matematica porsi come oggetto di studio quanto di meno oggettivo e concreto vi sia, quale uno stato d’animo?

A parte ogni legittima perplessità in merito, un dato empirico è comunque facilmente verificabile: inseguire i soldi, il benessere, la fama, il successo o il potere ritenendo che “solo” il loro raggiungimento sbarri le porte della felicità vuol dire condannarsi ad essere infelici: le ansie, le paure di fallire e il senso di inadeguatezza che inevitabilmente seguiranno non faranno che allontanarci sempre di più dal nostro desiderato traguardo!

Non è quanto si possiede, ma quanto si assapora a fare la felicità” (Chareles Spurgeon, predicatore battista britannico).

 

Se la “socialità”, quindi, è il primo ostacolo alla nostra felicità, allo stesso tempo non è dato all’uomo altra via che ricercare la felicità in comunione con i propri simili: la felicità, infatti, è l’unico bene che si moltiplica -piuttosto che ridursi- condividendolo con gli altri!

Il paradosso conclusivo cui giungiamo, allora, è che:

– se, da un lato, l’unico uomo in grado di raggiungere una piena e perpetua felicità sarebbe l’uomo “unico” (nel senso di solo sulla faccia della Terra);

– dall’altro lato, un uomo solo, anche se felice, sarebbe condannato all’infelicità!

 

Per questo non possiamo che riporporre il nostro interrogativo iniziale: ma la felicità è davvero alla portata degli uomini?

La risposta la lascio ad ognuno di voi, ricordando qui chi una risposta se l’è di certo data: “c’è un unico errore innato, ed è quello di credere che noi esistiamo per esser felici…” (Arthur Schopenhauer).

 

 

COME TENTARE DI ESSER FELICI?

 

Non esiste una strada verso la felicità. La felicità è la strada!” (Buddha)

Certamente non esiste “una” via per la felicità -o, quantomeno, se estiste la sconosco!-.

Piuttosto credo che di vie ne esistano almeno 7 miliardi, una per ogni abitanti di questo nostro Pianeta!

Dipende da ognuno di noi trovare la propria strada verso la felicità -e, una volta individuata, percorrerla fino in fondo!-.

 

Quale consiglio offrire, allora, ai lettori?

 

1- Siate il più possibile voi stessi!

La felicità non è sempre e tutta opera del caso“, scriveva Baltasar Gracián (filosofo spagnolo).

Allora ingegnatevi per esser felici!

Rompete le “dighe sociali” costruiteci intorno fin da bambini per frenare i nostri impulsi!

Smettetela di recitare come burattini su di un palco su cui ci è ritrovati senza aver nemmeno partecipato ad alcun provino!

Divenite protagonisti -non più figuranti…- della vostra esistenza!

Riappropriatevi di voi stessi e della vostra autostima!

Cominciate a costruire la vita con le vostre mani!

Fate vostro l’appello di Friedrich Nietzsche (altro grande pensatore che non abbisogna di presentazioni…): “diventa ciò che sei!“.

 

2- Circondatevi di persone meritevoli del vostro affetto!

La felicità si gusta meglio se condivisa e dipende, più che da ciò che ci sta attorno, da ciò che abbiamo dentro!

Del resto -diceva il filosofo americano Elbert Hubbard- “si può sopportare il dolore da soli, ma ci vogliono due persone per provare gioia”…

 

3- Prima ancora di essere felici, sentitevi felici!

“Ad alcuni per essere felici manca soltanto la felicità” (Stanislaw Jerzy Lec, scrittore polacco).

La felicità è un modo di vedere, dunque per cominciare ad esser felice occorre anzitutto guardare nella giusta prospettiva!

Felicità non è inseguire sogni ed aspettative ma, al contrario, godere pienamente dell’oggi!

La felicità non è uno stato a cui arrivare ma un modo di viaggiare: non un traguardo ma un cammino, la cui ricerca è il miglior modo di onorare la nostra esistenza…

 

 

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 Gaspare Serra

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