Il Portogallo è un’isola di Miranda Miranda

Il Portogallo è un’isola è sostanzialmente tre cose: un reportage di viaggio e di similitudini emotive; un colloquio con un amore difficile lasciato a casa; il confronto tra due tradizioni diverse eppure simili nella lingua e nei costumi: Napoli e Lisbona.

Miranda Miranda trasforma questo reportage in un romanzo di viaggio paragonabile solo a quello dell’ultimo “Viaggi e altri viaggi” di Tabucchi. Perché si può scrivere, viaggiare, parlare, ma l’amore rimane lì verticale.

Nel reportage emerge la ricchezza dell’isola portoghese che Miranda analizza rimuginando sui nomi dei dolci, sulle parole, sulle caratteristiche dei monumenti, e sui suoni delle canzoni. Solo visto dall’alto il panorama sembra lo stesso, “solo le nuvole, di tanto in tanto, rappresentano una novità, bianchi poggi che sembrano far parte del paesaggio o, se sono molte e in gruppo, mari di estrema tranquillità, favolosi iceberg, ghiacci profondi, fitti agglomerati urbani. Le nuvole sono come fuochi d’artificio: dentro, ci puoi vedere di tutto”.

Nel dialogo muto e dolente con la persona amata Miranda cerca di sostenere perentoriamente la sua tesi: che la Vita è verità e non finzione. Quest’ultima che il suo amante distratto pratica anche nella vita reale e nella sua professione di istrione.

Il rapporto che sul filo della Memoria tiene poi unite Lisbona e Napoli è l’ennesimo declinare di quell’assunto letterario e umano ineliminabile soprattutto per un meridionale: la radice partenopea non può essere sradicata e ricompare in altre terre come unità di misura di un partus non editus. La Materdei di Miranda rincorre l’autrice nel suo viaggio da Grand Tour, mentre lei, novella Stendhal in un giorno di primavera, riscopre la bellezza di camminare con tutti i sensi all’erta.


 


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