Il Plin Plin Di Parigi, racconto di Marco Mazzanti

IL PLIN PLIN DI PARIGI
Racconto di Marco Mazzanti

Vado – senza meta – seduto agli ultimi posti di questo autobus vecchio modello. Domanda o affermazione? Vado – dove? – seduto agli ultimi posti di questo autobus vecchio modello? Senza meta, insieme ad altri, seduti anch’essi, in questo autobus vecchio modello – di quelli arancioni, te li ricordi? – carico di esistenze rannicchiate e distratte.
Vado. Andiamo. Dove? Si guarda fuori, attraverso il mutevole intreccio delle gocce di pioggia che sui vetri si stirano, divengono fronde d’alberi d’acqua, sullo sfondo d’una città e delle sue notti bianche.
Squilla il cellulare giallo canarino, trema nella mia mano, a lungo, finché non è come se perdesse vita. Un ultimo spasimo, pochi minuti dopo, un attimo di fosforescenza blu sul display… un sms che non leggo, che archivio e che dimenticherò. Lo leggerà qualcun altro, perché ho intenzione di dimenticarmelo, questo telefonino giallo canarino. Scenderò da quest’autobus vecchio modello – di quelli arancioni, te li ricordi? – senza curami di nulla e di nessuno; camminerò sotto la pizza del mio ombrello, seguendo tracce invisibili, impronte labili, come di dita, sullo specchio torbido delle pozzanghere.

Non c’è nulla, non c’è nessuno. Niente che mi abbia trattenuto fra le quattro mura di casa – in una stanza rischiarata appena da una lampada da buttare, che scolora le superfici e trasforma me medesimo in una insulsa mollica di penombra – niente che mi abbia trattenuto realmente, quando invece fuori c’è il trionfo delle feste di Natale, la corsa dei ritardatari agli ultimi regali, la corrida nei centri commerciali più schizzati, le radio accese e le loro canzonette, tra chi sorride e chi si improvvisa star ballando sotto le stelle, nell’illusione di un quarto d’ora di successo, perché io valgo!

Il canarino giallo telefonino è ancora nella tasca del giaccone – quello da due soldi comprato al mercatino, te lo ricordi? –, mi sono dimenticato di dimenticarmelo in autobus – sempre lo stesso di prima, di quelli vecchio modello, tipo mandarino senza semi, così dolce e clementino! – recitando la parte dell’indifferente, del cinico che vive fuori dal mondo, timido e assorto nel plin plin di Parigi. Ma per favore!

Sul display il nome di uno, il nome di tutti. Mai il tuo. Lo vorrei davvero, il tuo nome, sul display blu del mio telefonino giallo mandarino morbido come un canarino. Cosa darei per un tuo sms. Mi basterebbero due parole. Dove sei? E io ti risponderei chiamandoti. Ti direi – sono qui, sono qui! – ti direi che non aspettavo altro. E tu, dove sei? Cosa fai? Dove vai? Io sono qui. Io sono qui!

Nel plin plin di Roma, c’è un uomo solo che cammina, solo, credendo di trovarsi a Parigi. Tante chiamate perse. Tanti messaggi d’auguri. Tanti nomi, ma mai quello che vorrebbe leggere lui sul display del suo telefonino. Prova a chiamarlo quel nome, digita il numero, cui risponde una voce fredda, di robot frustrato.
Il numero selezionato è inesistente.

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