Il pazzo.

Evelin camminava sul suo percorso di stelle e ogni tanto inciampava su qualche frammento di meteorite vecchio di un milione di anni. Era solita percorrere quel tratto di strada per giungere nella sua casupola sulla Luna, una specie di grande igloo che la ospitava dall’anno in cui c’era stata la fuga dalla Terra. Tutta la città era chiusa all’interno di una cupola gigante nella quale si poteva sopravvivere grazie ai macchinari in grado di replicare la gravità e di diffondere ossigeno. Per rendere il tutto piacevole erano state create stradine e sentieri ornati con stelle e frammenti di meteorite o materiali reperiti nello spazio. Evelin era una ragazza felice, nonostante tutto, era ottimista per natura e regalava sorrisi anche al buio oltre la cupola che in tanti non sopportavano più. Ma la sua vita era tutt’altro che semplice. Aveva un papà, unico sopravvissuto della sua famiglia, che la aspettava a casa tutti i giorni. Un uomo anziano, sulla 70ina che la trattava come fosse una regina, ma che viveva da tempo in un mondo tutto suo, annegato nella sua follia, non troppo ben vista dal resto della comunità. ‘Il pazzo’ era ormai il suo nomignolo. Tutti si guardavano dal dirlo di fronte a Evelin, ma lei lo sapeva e talvolta si incupiva per tanta crudeltà.

“Evelin, Evelinn sei tu mia regina” disse con voce roca il vecchio.

“Si papà sono rientrata”

“Hai visto il drago?? Era qui poco fa. Lo rincorro da ore ma scappa, scappa sempre. Evelin attenta” gridò all’improvviso l’uomo.

Evelin sobbalzò si guardò intorno ma non c’era nulla. “Papà a cosa devo stare attenta??”

“Il drago era vicino a te. Pensavo ti facesse del male, ma no. Come potrebbe far del male ad una fanciulla di così tanta bellezza, si è ammansito come un cane con il padrone. Vuole le tue carezze Evelin. Appena torni, torna il sole” disse l’uomo. Poi si sedette e perse il suo sguardo tra le stelle che si affacciavano da un’oblò e ammutolì come era solito fare quando si stancava.

Evelin lo sentiva a volte farneticare di questo drago e ormai aveva capito che rappresentava la sua paura. Era come un bambino, la sua fantasia era diventata realtà e il suo inconscio trasmetteva delle immagini che per lui erano vere. Ma non era pazzo, era forse troppo buono e fragile e talvolta troppo solo.

La ragazza gli preparava la cena e lo imboccava mentre lui vagava nell’universo con la sua mente e avrebbe pagato oro per seguirlo nei suoi voli, per accompagnarlo ed ammansire il drago che gli sconvolgeva così tanto la vita. Poi lo infilava dolcemente nel letto, gli accarezzava i capelli e lo lasciava solo quando era sicura che stesse dormendo profondamente.

Un giorno Evelin decise di portarlo in un parco vicino casa, uno di quelli ricostruiti replicando l’ecosistema terrestre, all’interno di un’altra cupola. Ed era venuto bene. Si respirava un po’ di ossigeno vero, quello delle piante e si odoravano le rose. Era un piccolo paradiso, almeno all’apparenza. Camminarono per 10 minuti. La ragazza stringeva forte il braccio del padre per assicurarsi che non fuggisse via se gli fosse preso un attacco di panico improvviso. Arrivarono all’ingresso del parco. Sulla strada alcune persone guardavano i due come fossero alieni, schifati e sdegnati dal coraggio mostrato nell’uscir di casa. Ma Evelin accompagnava suo padre a testa alta, con l’orgoglio di chi ama. Lo sedette su una panchina e gli raccontò di quel luogo, del profumo dei fiori, del suono dell’acqua della fontana, sperando che tornasse da lei almeno per qualche minuto, per farle assaporare quella sensazione di calma che emanava quel giardino. All’improvviso si udì un grido.

“Mio figlioo aiutoo il bambinoooo” una donna disperata urlava con tutto il fiato che aveva in gola. Suo figlio di 3 anni era caduto nella grande fontana e non sapeva nuotare, stava annegando. Evelin non sapeva cosa fare, se tuffarsi e lasciare il padre o urlare anche lei in cerca di aiuto. Si girò in cerca di qualcuno. Furono attimi di panico. Poi vide un uomo tuffarsi per salvare il piccolo e tirò un sospiro di sollievo. Si girò verso il padre per rassicurarlo, qualora nel frattempo si fosse reso conto dell’accaduto. Ma quando si voltò si rese conto che non c’era più.

“Oddio, papà papàààà. Papàà dove sei????”  Evelin si girava e rigirava, non riusciva a vederlo da nessuna parte eppure era lì un momento prima. Era agitata e continuava a correre ovunque continuando a chiamarlo.

“Papààà. Avete visto mio padre?” chiedeva a dei passanti.

“Chi? Il pazzo, no scusa tuo padre??” rispose ironica una donna talmente truccata da sembrare un pagliaccio.

Evelin continuò a correre, finchè non arrivò vicino alla fontana dove un uomo aveva appena salvato il bambino, ma era disteso sul prato esanime, tirato fuori dagli agenti che nel frattempo erano giunti sul luogo insieme al personale medico. Stavano tentando di rianimarlo. Evelin si soffermò a guardarlo e si rese conto di chi fosse quell’uomo.

“Papààà papàààààà” . Era suo padre.

“Si è gettato, l’ha portato a riva e poi è come se si fosse addormentato scivolando sul fondo della fontana, lei è la figlia”.

“Si. Papà papàà” le lacrime inondavano il suo viso mentre in preda alla disperazione sognava di vedere di nuovo quegli occhi lontani fissarla come al solito.

Il papà aprì gli occhi e si girò verso Evelin.

“Il drago Evelin sta andando via. Ma Evelin ho capito che non era cattivo” tossì per un attimo e sputò dell’acqua. Poi continuò con difficoltà e affanno.

“Quel drago mi riportava da te. Non era cattivo. Se un giorno dovessi incontrarlo, salutalo per me e digli grazie. E ricorda, piccola regina, l’apparenza a volte inganna.  Ti amo Evelin, tienimi con te”.

Poi chiuse gli occhi per sempre e raggiunse i suoi lontani universi. Evelin pianse sul suo petto per dei minuti interminabili, poi si alzò in piedi di fronte alla folla accorsa e con tutto il fiato che aveva in gola gridò :

“L’APPARENZA INGANNA”.

Poi guardò uno ad uno tutti quei visi che l’avevano derisa per anni, ora affranti e annegati nella vergogna d’aver creduto pazzo colui che si era dimostrato un eroe.

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