Gli occhi magri di Walter Sabbatini

Gli occhi magri dell’ospite della «serpa»

di Nicolò Menniti-Ippolito

Il Mattino di Padova, 3 agosto 2011

 

Editore che si occupa di oriente, di viaggi, di incroci culturali, la padovana CasadeiLibri pubblica ogni tanto, fuori collana, libri di narrativa molto particolari, in qualche modo fuori dalla consuetudine del mondo editoriale. Così è anche l’esordio narrativo del padovano Walter Sabbatini, Gli occhi magri (p.311, 15,90 euro), che è un libro a suo modo sorprendente e soprattutto poco catalogabile. Si può cominciare dal titolo, Gli occhi magri», che racchiude le tracce di uno dei personaggi del libro, ma anche una modalità stilistica, la scelta di un linguaggio ricco, fortemente metaforico, denso, che ha un sapore quasi antico. Il personaggio con «gli occhi magri» è Bart, uomo di poche parole, di nessuna pretesa, ospite della «serpa», trattoria di pianura tra Veneto, Emilia e Lombardia. Come suggerisce il nome è una specie di Bartebly, lo scrivano inventato da Melville, è qualcuno che si sottrae, che preferisce dire di no, ed i suoi occhi magri sono quasi inespressivi, non si aprono al mondo. Al suo opposto, ma attratta da lui, è Amalia, l’ostessa, donna carismatica, ingorda di vita, culturalmente rablesiana, che ha ereditato dal padre non solo l’Osteria, ma anche il culto per il piacere, la diffidenza per la stabilità. E poi c’è Paolo, in questo strano triangolo, che seleziona personale, ma è quasi inadeguato alla vita per un eccesso di sensibilità che lo rende tanto efficace nel lavoro, quanto inetto di fronte all’esistenza. Ma intorno ai tre personaggi ci sono poi molte comparse, per esempio l’intera tribù dei «giustizieri nuovi», gozzovigliatori da osteria, eredi di una antica istituzione veneziana, che del gusto hanno fatto una sorta di religione di cui Amalia è a suo modo la sacerdotessa. Ma se questi sono i personaggi e l’ambiente, la descrizione non rende ancora conto del libro. Che è un po’ una fiaba, e tratti viene in mente anche Scabia, ma è soprattutto una indagine interiore. Perché in questa osteria, che ha un che di fiabesco nel suo isolamente rispetto ad ogni altra realtà, i destini individuali si giocano attraverso lo scavo interiore. L’abilità di Sabbatini è quella di tenere insieme esterno e interno, attraverso una lingua che non è per nulla minimalista e tanto meno mimetica di fronte ad una realtà, che viene invece deformata dal periodare ampio, dalla ricchezza lessicale. Esordio non facile e non banale quello di Walter Sabbatini, qualche volta forse eccessivo nelle scelte stilistiche, ma mai compiaciuto di se stesso, mai arrogante. Semplicemente la ricerca di una lingua e di una storia che conservino una alterità rispetto al tempo corrente. 

 

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